mercoledì 8 aprile 2020

Parole
Il tempo dei corpi

È probabile che la pandemia manderà in soffitta, tra parecchie altre cose di cui bisognerebbe cominciare a fare l'inventario, la presunzione dell'eterna giovinezza. Meno male, era diventato sempre più faticoso, sempre più costoso, fingere di non essere vecchi. Via il bianco dai capelli, dalle sopracciglia. Via le macchie della vecchiaia dal viso, dalle mani. Via le rughe, via la pancia. E vista d'aquila, abilità negli sport più rischiosi, esibizione di grandi amori e inimmaginabili godimenti sessuali.
Non si poteva dire: "Sono vecchio, ho appena compiuto settantasette anni, è cominciato il mio settantottesimo". "Vecchio? Che Vecchio? Michele ha novantaquattro anni ed è un fiore. Giovanni ne ha novantasette ed è straordinario. Biden o Sanders, denti abbaglianti, si litigheranno con Trump - dico Trump, non so se è chiaro - la presidenza degli Stati Uniti. E tu, tu saresti vecchio?". No, macché. Poi è arrivata la pandemia e di colpo la vecchiaia è riapparsa. S'è ripresa il suo tempo, i suoi connotati. Se fino a un mese fa di un ottantenne potevamo mormorare che poverino era morto giovane, ora la fragilità dei corpi a sessant'anni, la trama delle malattie pregresse, è diventata una nenia quotidiana dolorosissima. I figli ci tutelano in ansia, gli ospedali al tracollo ci temono. La debolezza dei nostri corpi usurati è ridiventata all'improvviso di un'evidenza innegabile.
Domenico Starnone

(Internazionale, 20 marzo 2020)