… muore
per mano nazista. Lo ricorda Fabrizio Melodia
«È la fine,
per me è l’inizio della vita»: il teologo partigiano Dietrich
Bonhoeffer pronunciò queste ultime parole prima di essere impiccato,
per ordine diretto di Hitler, nel campo di concentramento di
Flossenbürg il 9 aprile 1945.
Come si era
giunti all’assassinio?
Bonhoeffer
era nato il 4 febbraio 1906, figlio di un noto professore di
neurologia e psichiatria, mentre la madre era una delle poche donne
laureate ai suoi tempi.
Quinto di sei
fratello, Dietrich fin da giovane si fece notare per il carattere
forte ma gentile; contrariamente all’ambiente familiare decise di
intraprendere gli studi di teologia, laureandosi a Berlino nel 1927.
Diventò ben
presto pastore luterano e, piano piano, la sua carriera crebbe fino
ad occupare un posto di professore all’università di Berlino nel
1931.
Nel frattempo
il nazismo e Hitler imperversavano. Il neo professore e pastore mal
guardava la dottrina ariana e il razzismo che, ieri come oggi,
serviva a raccogliere proseliti devoti e facili consensi riversando
la rabbia e il lavoro su una causa esterna, possibilmente di persone
che già portavano una cattiva nomea, come gli ebrei.
Bonhoeffer
credeva fermamente che amare Dio significasse, senza mezzi termini,
amare il mondo.
Al contrario
di altri professori, fra i quali spiccò l filosofo Martin Heidegger
(noto devoto del regime, che non ebbe remore a far le scarpe al suo
maestro Edmund Husserl) Bonhoeffer lasciò cattedra, libri e
prestigio per unirsi alla lotta antinazista.
Fu il primo
ad affrontare il problema della collusione e sudditanza della Chiesa
Evangelica, quando nel 1933 il sinodo approvò il cosiddetto
«paragrafo ariano», denunciando con veemenza il “problema
ebraico” al movimento ecumenico internazionale. Nel 1934 teneva
seminari clandestini per tutti coloro che erano esclusi dagli
insegnamenti per motivi razziali.
Nel 1937 un
decreto di Himmler dichiarò fuorilegge tali aggregazioni ma
Bonhoeffer continuò imperterrito.
Nel 1939 si
avvicinò a un gruppo di resistenza e cospirazione contro Hitler,
costituito fra gli altri dall’avvocato Hans von Dohnanyi (suo
cognato), dall’ammiraglio Wilhelm Canaris e dal generale Hans
Oster.
Già assai
compromesso – gli era stato proibito di spostarsi liberamente, di
parlare in pubblico, di scrivere, d’insegnare – nello stesso anno
emigra negli Stati Uniti, trovando un posto da insegnante. Ma
ritornerà in Germania due anni dopo, spinto dalla sua coscienza.
La situazione
in Germania si era aggravata notevolmente. I rapporti tra forze
armate tedesche e nazisti erano assai tesi, visto che l’esercito
vantava una grande tradizione di autonomia. Con la nomina di Hitler a
capo dell’esercito, iniziarono grandi dissapori e invidie degli
alti gradi. Vi fu anche un (parziale) rigetto degli ordini del
Führer, contrari al codice d’onore militare: come le esecuzioni
sommarie dei civili, dei prigionieri, degli attivisti politici
(comunisti soprattutto).
Si formarono
così piccoli gruppi di resistenza, ben diversi da quelli partigiani
che avrebbero poi agito in Italia, Francia e Spagna, ma comunque
assai insidiosi, sino ad arrivare al famoso attentato contro Hitler.
In uno di
questo gruppi, si muoveva Bonhoeffer. Nel 1943 fu arrestato e
imprigionato nel carcere militare di Tegel. Durante i due anni di
prigionia, scrisse molto: lettere ai genitori, alla fidanzata, al
caro amico Eberhard Bethge, il quale – ironia della sorte – era
un soldato in forza all’esercito tedesco.
In una
lettera scrisse quello che da più parti viene considerato come il
suo testamento spirituale e teologico, dove abbandonava la concezione
tradizionale di Dio come Salvatore dell’uomo sofferente e
impotente, per ribadire che l’uomo deve trovare Dio come essenza
eterna di tutte le cose e che deve imparare a contare sulle proprie
forze.
Riporto un
passo di quella lettera, per ricordare la forza filosofica e non solo
spirituale di una persona libera e combattiva come Bonhoeffer: «Io
vorrei parlare di Dio non nei limiti ma al centro, non nella
debolezza ma nella forza, non in relazione alla morte o colpa ma alla
vita e nel bene dell’uomo. Dio non è il tappabuchi nei confronti
delle incompletezze delle nostre conoscenze. Dobbiamo trovare Dio in
ciò che conosciamo… Dio deve essere conosciuto non ai limiti delle
nostre possibilità ma al centro della vita. Gesù non ha fatto come
prima cosa dell’uomo un peccatore, non ha mai messo in questione la
felicità dell’uomo in quanto tale […] Gesù rivendica per sé e
per il regno di Dio la vita umana tutta intera in tutte le sue
manifestazioni».
PER
APPROFONDIRE:
– Italo
Mancini, «Bonhoeffer», Vallecchi, Firenze, 1969.
– Ugo
Perone, «Storia e ontologia. Saggi sulla teologia di Bonhoeffer»,
Studium, Roma 1976.
– Alberto
Gallas, «Ánthropos téleios. L’itinerario di Bonhoeffer nel
conflitto tra cristianesimo e modernità», Queriniana, Brescia
1995.