Didattica dell'emergenza
Franco Lorenzoni per Internazionale
Il diritto all'istruzione è di fatto sospeso per almeno un ragazzo su cinque. E seguire le lezioni è comunque complicato per tutti
Senza sceglierlo, la scuola italiana si è trovata a compiere un balzo indietro che ci riporta agli cinquanta, prima delle due uniche riforme che hanno realmente trasformato l'istruzione nel nostro paese: l'introduzione della scuola media unica nel 1962 e l'apertura delle classi ai ragazzi portatori di disabilità nel 1977.
osì, come in tanti film di fantascienza, avveniristici contatti a distanza s'intrecciano con costumi da medioevo, dove vale la legge del più forte. Se la ministra dell'istruzione Lucia Azzolina ammette che un milione e seicentomila ragazzi non sono ancora raggiunti da alcuna forma di didattica, il diritto all'istruzione è di fatto sospeso per almeno un ragazzo su cinque. A questa percentuale va sommato il gran numero di bambini e ragazzi che, pur raggiunti, non riescono a seguire le lezioni per via di connessioni troppo costose o altalenanti, o altre difficoltà.
Una ragazza di Napoli lamenta che non può parlare con l'insegnante alle tre del pomeriggio perché nel suo basso a quell'ora i genitori dormono, sfiancati dalle nottate passate ai videogiochi, e un maestro di Terni che in classe ha molti figli di immigrati, si rifiuta di valutare a distanza i suoi alunni sostenendo che dovrebbe tener conto dei metri quadrati a disposizione, del numero di genitori o fratelli con cui dividono tablet e cellulari e delle condizioni acustiche in cui provano a concentrarsi.
Più che di didattica a distanza, da troppi glorificata a vanvera, dobbiamo parlare piuttosto di didattica dell'emergenza, perché nelle case e tra i docenti sta avvenendo di tutto, come raccontano le innumerevoli storie che fioriscono e si diffondono, fornendo un quadro estremamente contraddittorio. Molti narrano di ciò che succede ai loro figli, ma non abbiamo dati certi sul numero dei fantasmi che si stanno perdendo nelle loro case in solitudini sofferenti. Eppure questo è un tempo di grandi inciampi e apprendimenti interessanti, per molti.
Per spendere al meglio gli 85 milioni messi a disposizione dal governo per fornire tablet agli studenti che non li hanno, molti insegnanti hanno dovuto affinare la loro attenzione sociologica e svolgere inediti compiti di assistenza sociale, aiutati da gruppi di genitori solidali e da operatori del terzo settore, spesso poco considerati nelle scuole, che si sono rivelati preziosi alleati per la maggiore conoscenza che hanno del territorio.
Terrazze e giardini
Si stanno creando alleanze preziose e inaspettate dunque, che già a partire dall'estate potrebbero dar vita a sperimentazioni innovative importanti insieme ai comuni, creando le condizioni per un ritorno a un'idea sociale e comunitaria dell'educare, non confinata alle aule scolastiche ma aperta a terrazze, giardini e altri luoghi della città.
Per evitare che i fantasmi di oggi non precipitino automaticamente nel gran calderone dei due milioni di giovani che non studiano e non lavorano, va ripensato il ruolo che può avere la diffusione della cultura nei territori, perché una delle poche cose certe è che, nella lotta contro la dispersione, la scuola da sola non ce la può fare.
Stiamo caricando sulle spalle di figli e nipoti un debito colossale. Il minimo che possiamo fare è investire e impegnarci a predisporre per loro le migliori esperienze educative possibili, perché le sfide che li attendono richiedono grandi conoscenze e notevoli doti di creatività.
Franco Lorenzoni è un maestro elementare. Insegna a Giove, in Umbria. Il suo ultimo libro è I bambini ci guardano (Sellerio 2019).
(Internazionale, 30 aprile 2020)
Franco Lorenzoni per Internazionale
Il diritto all'istruzione è di fatto sospeso per almeno un ragazzo su cinque. E seguire le lezioni è comunque complicato per tutti
Senza sceglierlo, la scuola italiana si è trovata a compiere un balzo indietro che ci riporta agli cinquanta, prima delle due uniche riforme che hanno realmente trasformato l'istruzione nel nostro paese: l'introduzione della scuola media unica nel 1962 e l'apertura delle classi ai ragazzi portatori di disabilità nel 1977.
osì, come in tanti film di fantascienza, avveniristici contatti a distanza s'intrecciano con costumi da medioevo, dove vale la legge del più forte. Se la ministra dell'istruzione Lucia Azzolina ammette che un milione e seicentomila ragazzi non sono ancora raggiunti da alcuna forma di didattica, il diritto all'istruzione è di fatto sospeso per almeno un ragazzo su cinque. A questa percentuale va sommato il gran numero di bambini e ragazzi che, pur raggiunti, non riescono a seguire le lezioni per via di connessioni troppo costose o altalenanti, o altre difficoltà.
Una ragazza di Napoli lamenta che non può parlare con l'insegnante alle tre del pomeriggio perché nel suo basso a quell'ora i genitori dormono, sfiancati dalle nottate passate ai videogiochi, e un maestro di Terni che in classe ha molti figli di immigrati, si rifiuta di valutare a distanza i suoi alunni sostenendo che dovrebbe tener conto dei metri quadrati a disposizione, del numero di genitori o fratelli con cui dividono tablet e cellulari e delle condizioni acustiche in cui provano a concentrarsi.
Più che di didattica a distanza, da troppi glorificata a vanvera, dobbiamo parlare piuttosto di didattica dell'emergenza, perché nelle case e tra i docenti sta avvenendo di tutto, come raccontano le innumerevoli storie che fioriscono e si diffondono, fornendo un quadro estremamente contraddittorio. Molti narrano di ciò che succede ai loro figli, ma non abbiamo dati certi sul numero dei fantasmi che si stanno perdendo nelle loro case in solitudini sofferenti. Eppure questo è un tempo di grandi inciampi e apprendimenti interessanti, per molti.
Per spendere al meglio gli 85 milioni messi a disposizione dal governo per fornire tablet agli studenti che non li hanno, molti insegnanti hanno dovuto affinare la loro attenzione sociologica e svolgere inediti compiti di assistenza sociale, aiutati da gruppi di genitori solidali e da operatori del terzo settore, spesso poco considerati nelle scuole, che si sono rivelati preziosi alleati per la maggiore conoscenza che hanno del territorio.
Terrazze e giardini
Si stanno creando alleanze preziose e inaspettate dunque, che già a partire dall'estate potrebbero dar vita a sperimentazioni innovative importanti insieme ai comuni, creando le condizioni per un ritorno a un'idea sociale e comunitaria dell'educare, non confinata alle aule scolastiche ma aperta a terrazze, giardini e altri luoghi della città.
Per evitare che i fantasmi di oggi non precipitino automaticamente nel gran calderone dei due milioni di giovani che non studiano e non lavorano, va ripensato il ruolo che può avere la diffusione della cultura nei territori, perché una delle poche cose certe è che, nella lotta contro la dispersione, la scuola da sola non ce la può fare.
Stiamo caricando sulle spalle di figli e nipoti un debito colossale. Il minimo che possiamo fare è investire e impegnarci a predisporre per loro le migliori esperienze educative possibili, perché le sfide che li attendono richiedono grandi conoscenze e notevoli doti di creatività.
Franco Lorenzoni è un maestro elementare. Insegna a Giove, in Umbria. Il suo ultimo libro è I bambini ci guardano (Sellerio 2019).
(Internazionale, 30 aprile 2020)