Il futuro dei popoli indigeni è il nostro futuro
Gaia Salvatori
Il Manifesto
07.05.2020
In
queste settimane abbiamo spesso sentito parlare del legame fra la
perdita di ecosistemi e la diffusione di nuove epidemie.
Già nel 2016 il
Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) avvertiva che le
zoonosi, ovvero il passaggio di malattie dagli animali all’uomo, stavano
avvenendo con un ritmo più veloce: «La distruzione degli ecosistemi per
lo sfruttamento delle risorse, per l’attività agricola o per nuovi
insediamenti umani sta offrendo nuove opportunità per lo spillover degli
agenti patogeni dagli animali selvatici all’uomo, anche perché la
perdita della biodiversità ha compromesso la capacità della natura di
creare barriere a queste malattie».
Le foreste in particolare – come ci
ricorda l’ISPRA hanno la facoltà di limitare la propagazione di agenti
patogeni dalla fauna selvatica alle persone; quando invece la
biodiversità è minacciata, il servizio eco-sistemico di controllo delle
malattie è compromesso ed è più probabile che emergano agenti patogeni.
In
ogni regione del pianeta, dall’Artico alla Patagonia, fino al deserto
australiano, le isole del Pacifico o la Siberia, i popoli indigeni sono
coloro che abitano la biodiversità senza arrecare danno agli ecosistemi.
Proprio per questa straordinaria capacità che accomuna popoli molto
diversi che vivono ad ogni latitudine, le culture indigene rappresentano
un patrimonio inestimabile per l’intera umanità. Riconoscendo il valore
delle cosmovisioni e delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni,
nel suo ultimo congresso internazionale Slow Food ha voluto assumere
l’impegno di amplificare la loro voce.
Lo
abbiamo fatto nei mesi scorsi, quando i popoli indigeni dell’Amazzonia
denunciavano gli incendi che aprivano la strada all’invasione delle loro
terre.
Poi, lo scorso 5 febbraio, il presidente Bolsonaro ha firmato un
progetto di legge autorizzando l’estrazione mineraria su larga scala
nei territori indigeni, l’estrazione di gas e petrolio e altre attività
devastanti: «Il suo sogno, Signor Presidente – aveva risposto Sonia
Guajajara, leader indigena – è il nostro incubo… L’attività estrattiva
significa morte, malattie e miseria, e mette fine al futuro di un’intera
generazione. Non accetteremo attività estrattive nella nostra terra».
Poi l’arrivo della pandemia ha obbligato le organizzazioni indigene a
far fronte a una nuova emergenza: «L’abbandono delle comunità da parte
dei programmi pubblici e l’abbandono dei governi di fronte a questa
emergenza sono al confine con il criminale» ha dichiarato Gregorio
Mirabal, coordinatore generale della COICA, del popolo Wakuenai
Kurripaco (Venezuela) con un nuovo appello ad affrontare questa
emergenza umanitaria e sanitaria. Allo stesso modo, il leader della
COICA ha denunciato che «gli aiuti umanitari sono distribuiti in base al
favoritismo e alle convenienze politiche ed elettorali: le popolazioni
indigene stanno ora pagando il prezzo per resistere alla violazione dei
nostri diritti e dei diritti della Terra».
Proteggere
le comunità indigene oggi significa proteggere l’umanità intera dalle
pandemie che possono arrivare se non salveremo le foreste tropicali. Gli
indigeni sono alleati chiave per curare la nostra casa comune e
garantire l’equilibrio planetario. Dobbiamo ascoltare il loro dolore.