IL TEMPO CHE VERRA'
Qual
è la lezione tremendissima di questo di virus, del trauma
collettivo che ci ha coinvolti in questo tempo così difficile?
Mi
sforzo di trovare almeno tre ragioni per rendere questa lezione
appunto una lezione.
La prima è che c'è stato un insegnamento
profondo sulla nozione di libertà. Noi veniamo da decenni in cui
abbiamo interpretato la libertà, come una proprietà dell'individuo. Il neo-liberalismo ha sponsorizzato questa versione anarcoide della
libertà. La libertà che coincide con la volontà individuale di far
quel che si vuole fondamentalmente, la libertà come puro arbitrio,
come pura manifestazione capricciosa dell’ego. Ecco la prima
lezione tremendissima di questo virus è che questa nozione di
libertà è un'impostura. Che la libertà implica sempre invece la
solidarietà, che non si può pensare la libertà se non nella
dimensione della solidarietà.
E’ quello che ci insegna questa
epidemia: nessuno può salvarsi da solo, la salvezza è un’esperienza,
può essere un’esperienza solo collettiva. Noi siamo, in fondo,
tutti prigionieri delle nostre case in una condizione di
claustrazione obbligata, ma in realtà questa claustrazione è una
forma massima di apertura, io dico anche la forma eticamente più
alta, la cifra eticamente più alta della libertà, essere in
connessione l'uno all'altro, essere una comunità di solitudini.
La
seconda grande lezione è quella che l'essere umano non può pensare, non può sovrapporre diciamo l’umanismo all’antropocentrismo. Questa epidemia si è scatenata a partire dalla una violenza ecocida, dall'avere oltraggiato, violentato, sfruttato la Natura di averla ridotta, di
avere ridotto il nostro pianeta, la Terra, ad un mero luogo di risorsa
da sfruttare e l’epidemia è, un ritorno diciamo del rimosso di
questa violenza antropocentrica, antiumanistica, dell'uomo nei
confronti della Natura.
Come dire, abbiamo dimenticato che l'abitare
viene prima del costruire, come diceva Heidegger, noi abbiamo
dimenticato che siamo ospiti di questo pianeta, che non c'è una
gerarchia tra gli esseri viventi e la nostra violenza sulla Natura
ritorna appunto nelle forme tragiche dell'epidemia.
La terza grande
lezione, secondo me, è quella che ci attende: è sbagliato pensare
ingenuamente, che il trauma è già accaduto, cioè che il trauma
coincide con lo scoppio dell'epidemia e che la ripartenza sarebbe una
fuoriuscita dal trauma. Che il trauma è luogo delle tenebre e la
ripartenza, la cosiddetta “fase 2” sarebbe il luogo della luce.
Questo pensiero scissionista si appoggia su una fantasia di tipo
regressiva, su una fantasia infantile: da una parte il male,
dall'altra il bene. Da una parte appunto le tenebre, dall'altra parte
la luce. Da una parte il trauma, dall'altra la liberazione dal
trauma. Invece noi siamo obbligati ad accogliere un altro
insegnamento dal Covid-19, e cioè che la luce, le tenebre si
mescolano sempre, che il prima e il dopo non sono due tempi staccati
ma annodati tra di loro, che la paura che noi abbiamo avuto e che
abbiamo dell’epidemia non si può come dire vincere semplicemente
attraverso il coraggio della ripartenza. La ripartenza implicherà un
altro trauma, la ripartenza sarà una nuova forma del traumatismo. Significa che noi dovremo convivere con l'intruso, noi dovremo
convivere con il virus, abbiamo dedicato gli ultimi anni della vita
politica a scongiurare l'intruso in tutte le forme possibili
chiudendo i porti, alzando le mura, tracciando fili spinati,
irrigidendo
i confini. Adesso l’intruso è tra noi, adesso l’intruso siamo noi. E dunque
questa è la lezione. Non si può scindere la paura dal coraggio, non
si può scindere la luce dalle tenebre, non si può scindere il noto
dall'ignoto, noi siamo obbligati a convivere con l'intruso, siamo
costretti a convivere nel coraggio con la paura, siamo obbligati a
ricominciare alla luce portandoci dietro però quel cuore di tenebre
che abbiamo incontrato in questa maledetta esperienza .
Massimo
Recalcati