mercoledì 24 marzo 2021

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In Iraq il Papa sa anche chiedere perdono

Le parole nuove di Francesco


Da sessant'anni ogni viaggio del Papa riceve dalla cortesia mediatica l'etichetta di "storico". Storico fu il primo viaggio di un Papa nelle terre dei suoi ex sudditi (Giovanni XXIII a Loreto, 1962) e il pellegrinaggio di Paolo VI in Terra santa nel 1964. Storici furono anche alcuni degli innumerevoli viaggi di Giovanni Paolo II e dei suoi successori. Così che la retorica trionfalistica alla fine ha reso certissimamente storici solo i due viaggi "impossibili": a Mosca e a Pechino.

Eppure la peregrinazione del Papa in Iraq tocca spessori storici davvero profondi, nel tempo e nel significato. Francesco non arriva laggiù solo con ciò che è; egli nella terra di Abramo col peso di tutto ciò che il cristianesimo d'Occidente implica sé agli occhi dei cristiani e dei musulmani di quelle terre (da cui solo è stata cancellata una tradizione ebraica lunga quanto il Talmud, di cui resta traccia solo a Teheran e ora a Dubai).

Là, in quella terra in cui si dice il Padre nostro nella lingua di Gesù, la fede romana di cui il Papa è il capo, è stata il primo nemico dei cristiani siriaci. Per Ephrem, il santo poeta morto nel 373, l'impero cristiano era "la bestia" apocalittica, il persecutore di una chiesa che per il suo disallineamento rispetto ai concili di Efeso e di Calcedonia (431-451) veniva trattata come preda per una conquista politico-religiosa. Tale diffidenza antibizantina e antilatina avrebbe avuto decine di conferme storiche: perché ogni volta che il cristianesimo a ovest di Antiochia è arrivato in quelle terre, ha portato ai cristiani lacerazioni, contrasti, confini, manomissioni, annessioni, uniatismi, scismi: dalle invasioni crociate alla spartizione dell'impero ottomano.

Conseguenze della disunità delle chiese, di cui il Papa chiede giustamente perdono: perché lì dove i secoli passano lenti come millenni, solo l'autenticità parla a comunità di diverse confessioni che non sono arrivate fino al Novecento "nonostante" l'Islam, ma ci sono giunte "grazie" ad un Islam che aveva strumenti di tolleranza certo vessatori, ma non intenzionati a cancellarle, come avrebbero fatto i cattolico-romani o i greco-ortodossi.

Là in quella terra di fiumi in cui si sono specchiati Abramo e i salmisti, i masoreti e i padri della chiesa, i talmudisti e i filosofi di entrambi gli Islam, un altro papa, nel 1245, sognava di far arrivare i crociati da Occidente e i mongoli da Oriente, per spazzare via l'Islam. Per questo obiettivo questo inviò per la prima volta in Cina un ambasciatore (francescano), per proporre al Khan un'alleanza militare a tenaglia su Bagdad, che non si realizzò. Eppure nella terra dei due fiumi, dove i secoli non si cancellano mai, il ricordo di quella mentalità crociata è perfettamente vivo: al punto che quando trent'anni fa Saddam decise di prendersi il Kuwait come risarcimento della guerra imposta all'Iran e l'Occidente lo invase, il mito dei crociati potè essere agitato con successo dalla propaganda di sanguinari in cerca di anime e corpi da votare al macello, da Bin Laden fino ad Al Baghdadi.

Là dove nulla passa, Francesco si presenta oggi disarmato, ma forte. Forte della opposizione alle due guerre del golfo della diplomazia vaticana, impersonata dalla figura del nunzio, il cardinal Filoni, rimasto a Bagdad sotto le bombe. Forte della penitente risolutezza con cui il cristianesimo - quello che ne riconosce il ministero e quello che ne vede la fede - cammina sulla "fitna", la spaccatura fra sunniti e shiiti.

Il Papa in Iraq attraversa quel confine, annaffiato da Daesh col sangue di migliaia di vittime e incontra l'ayatollah Al-Sistani, portatore di una mistica politica storicamente opposta a quello di Khomeini. Un gesto che depura da ogni rischio di strumentalizzazione il dialogo sulla "fraternità" coltivato con sunniti di Emirati ed Egitto. Ma che soprattutto riconosce che il cristianesimo purissimo e dolente in quella mezzaluna aveva visto giusto nel difendersi non con le armi, ma con l'adorazione ("Il corpo di Cristo è stato mischiato con i nostri corpi, il suo Sangue versato nelle nostre vene. Nella sua compassione tutto di lui è stato mescolato con tutto di noi") e per questo è durato abbastanza per vedere un Papa pellegrino.

Alberto Melloni

la Repubblica  6 marzo 2021