giovedì 11 marzo 2021

Escalation in Umbria, la sanità è al tracollo


PERUGIA. La metafora della presidente Donatella Tesei è scontata – «Siamo in guerra» -, ma che il Covid e le sue varianti stiano mettendo in ginocchio l'Umbria è un fatto che non si presta a molte interpretazioni. A Natale si viaggiava su una media di 150 positivi al giorno, i numeri diffusi nella giornata di ieri dalla Regione parlano di 415 casi su 4.699 tamponi, per un'incidenza dell'8,83%, con dodici morti. Dall'inizio della pandemia le vittime sono 863, di cui 62 solo in questi primi dieci giorni di febbraio. Su 506 degenti in regione, 80 sono in terapia intensiva, per un tasso di occupazione giunto a un inquietante 56%. E l'outlook è negativo.

Come la situazione sia precipitata nel giro di così poco tempo è un mistero la cui spiegazione sfugge al dibattito, certo fa impressione che una delle regioni in un primo momento meno toccate dalla pandemia – con conseguente corsa dei vari notabili locali ad attribuirsi i meriti dello scampato pericolo – adesso sia quella con l'indice Rt più alto d'Italia: 1,18. I segnali del crollo della regione senza mare, comunque, c'erano da tempo. Già in autunno si era parlato di rischio saturazione per le terapie intensive. Fu chiamato Guido Bertolaso come superconsulente, si tentò di mettere in piedi un ospedale da campo a Perugia e si inviarono diversi pazienti al Covid Hospital di Civitanova Marche. Nulla di tutto ciò ha funzionato.

Adesso Bertolaso è responsabile della campagna vaccinale in Lombardia e l'ospedale da campo costato 4 milioni di euro (di cui tre messi dalla Banca d'Italia) è stato collaudato solo sabato scorso e ancora non è stato utilizzato. Manca il personale. Della convenzione con le Marche, semplicemente, non se ne parla più. Sta venendo giù tutto, e i due ospedali maggiori, Perugia e Terni, cominciano a dare pericolosi segnali di cedimento: contagi in reparti «bianchi», posti che scarseggiano, interventi chirurgici rimandati, medici e infermieri che non vedono la luce del giorno da mesi, sindacati sul piede di guerra.

La presidente Tesei ha chiesto 50mila dosi di vaccino subito al commissario Arcuri, ma, ancora non sono state comunicate le date per tutti gli ultraottantenni: da domani potranno prenotarsi quelli nati nel 1940, per gli altri si saprà solo in futuro.

«Stiamo affrontando questa terza ondata con meno personale sanitario rispetto alla seconda e alla prima ondata – spiega il capogruppo Pd in regione, Tommaso Bori -. Dopo più di un anno dallo scoppio della pandemia sono state effettuate solo 24 assunzioni, a fronte di 2.500 in Toscana e 5mila in Emilia». In consiglio persino Fratelli d'Italia ha espresso perplessità sulle politiche sin qui adottate dalla giunta Tesei.

D'altra parte, la Sanità è roba della Lega. Come in tutte le regioni vinte tra il 2019 e il 2020: qui in Umbria, ma anche nelle Marche e in Abruzzo. «Per uscire dalla pandemia – dice la Cgil in una nota – prima della inglese e della brasiliana sarà necessario sconfiggere la variante veneta: se questa giunta non vuole rafforzare il sistema pubblico e vuole favorire la crescita di quella privata, mette a rischio la salute dei cittadini ed è bene che se ne vada». E, a ben guardare, la dirigenza sanitaria umbra, rivoluzionata dopo lo scandalo che portò alla caduta di Catiuscia Marini (Pd) e al successivo trionfo della destra, è completamente made in Veneto: l'assessore è Luca Coletto, già in giunta a Verona, in Comune, poi pezzo grosso in regione con Zaia, presidente dell'Agenas (l'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), componente del Comitato strategico del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie e sottosegretario con il governo Conte I. A capo della sua segreteria c'è Maria Tessaro, padovana, fidata avvocatessa in quota Lega. Il direttore generale scelto da Coletto, invece, si chiama Claudio Dario, un passato con lo stesso ruolo prima a Treviso e poi a Padova, sempre sotto le insegne del Carroccio.

Mario Di Vito

Il Manifesto 11 febbraio