martedì 23 marzo 2021

Lettera alla ministra della Disabilità

Siamo tutti imperfetti 


L'ironia contro il "politicamente corretto" è spesso bolsa: o, come dicevano le nostre nonne, spirito di patate. La rivendicazione di un linguaggio rispettoso della dignità individuale si fonda, in genere, sull'esperienza del dolore. Voler essere chiamate "persone con disabilità", invece che "handicappati", significa non essere ridotte al proprio handicap e affermare un'identità più grande della misura del proprio limite. In Italia, secondo i dati dell'Istat, le persone con disabilità rappresentano il 5,2% della popolazione, pari a 3 milioni e 100 mila individui. Se si considerano, poi, quanti dichiarano limitazioni meno rilevanti, il numero complessivo va moltiplicato per quattro. Una moltitudine di italiani che, per ragioni diverse, non corrispondono al modello del normotipo, manifestando forme di debolezza, lentezza, riduzione dei sensi, difficoltà nei movimenti e deficit cognitivi. La fotografia di una società tra le più longeve al mondo, composta da uomini e donne scarsamente dediti ad attività fisiche e da minori con una crescente tendenza all'obesità. Se, invece, consideriamo solo quegli oltre 3 milioni di persone con disabilità accertata, troviamo che quasi la metà è costituita da soggetti con handicap molto gravi e, tra essi, la metà ha più di 75 anni. Il 60% di questi ultimi sono donne. Ancora un dato: nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni risultano occupati, tra i maschi, il 36,3% e, tra le donne, il 26,7% di quanti 5 presentano limitazioni gravi. È una quota ampia della comunità nazionale, che chiede pari opportunità per essere inclusa pienamente nel sistema dei diritti di cittadinanza. L'episodio documentato da Repubblica - l'uomo portato a braccia al vagone della metropolitana a causa del blocco di quattro ascensori della stazione Termini di Roma - dice impietosamente quale sia la realtà. E rappresenta l'ultimo atto di mortificazione civile prodotto da un'organizzazione della vita urbana che si fa dispositivo di segregazione per quanti non rientrano nel canone olimpico ( : più veloce, più in alto, più forte). Come è noto, la vita cittadina può essere un percorso di guerra, fitto di insidie e trappole, di ostacoli insormontabili e buche che si allargano a fossati. Non solo per chi presenta una disabilità, ma per le donne incinte, i bambini, i vecchi e i lenti, gli stanchi, gli ipovedenti. Un'organizzazione degli spazi che ne blocca i movimenti, ne rallenta gli spostamenti, ne impedisce l'indipendenza.

Rispetto a questo universo di minorità e sofferenza, potrà essere utile l'operato di un ministero della Disabilità, quale quello istituito dal governo di Mario Draghi? Non è semplice rispondere. Dal punto di vista teorico, per evitare il rischio della ghettizzazione, è ragionevole che le tematiche relative all'handicap vengano pensate all'interno di politiche complessive: non un particolare programma per l'inserimento lavorativo, bensì una politica generale per l'occupazione al cui interno siano tutelate e "premiate" le componenti più vulnerabili. Ma sul piano operativo, un ministero dedicato alla questione, pur senza portafoglio e con risorse prevedibilmente limitate, è forse opportuno. Titolare del dicastero è Erika Stefani: la conosco un po' e penso che sia una leghista "dal volto umano". Potrebbe fare buone cose, se saprà scordare il suo marchio d'origine e valorizzare altri tratti della sua fisionomia. È giusto attenderla alla prova dei fatti.

In Italia sono moltissime le associazioni di persone con disabilità. E tuttavia la loro capacità di rappresentanza e di mobilitazione è assai ridotta: a causa, innanzitutto, dell'eccessiva frammentazione. Mai, negli ultimi decenni, questa forza associativa si è tradotta in efficace attività di pressione sulla sfera politica, se non in forme locali o simil-clientelari. Sul piano elettorale, questo che è un grande gruppo di interesse (con milioni di individui) non è stato in grado di elaborare alcuna intelligente strategia. Molte le cause. Una è drammatica. Il nostro paese dispone di alcune buone leggi (contro le barriere architettoniche del 1989 e per l'inclusione lavorativa del 1999). Ma basta controllare uno degli scivoli ricavati nei marciapiedi delle città, per consentire l'accesso di una carrozzina, e si vedrà quanti di essi sono ostruiti da auto, motorini, ingombri vari. E siamo stati noi a metterceli.

Insomma, c'è un problema grande come una casa che richiama il carattere nazionale. La sensibilità degli italiani su tutto ciò che è civico - relativo, cioè, alle relazioni di comunità - e desolatamente scarsa. A questo, innanzitutto, dovrebbe servire un ministero della Disabilità: a ricordarci che siamo (quasi) tutti "imperfetti" e che, prima o poi, tutti potremo trovare che quel gradino o il predellino di quell'autobus e inesorabilmente troppo alto.

Luigi Manconi

la Repubblica, 5 marzo 2021