martedì 2 marzo 2021

STRATEGIE PER LE DONNE

 Tre strategie per le donne 

di Linda Laura Sabbadini

Non c’è solo il problema delle 440 mila lavoratrici in meno rispetto a dicembre 2020. Un milione 300 mila donne sono a rischio, lavorano in aziende in particolari difficoltà per la crisi, secondo i dati Istat. 

Serve una svolta strategica, audace, lungimirante sull’occupazione femminile. Qualcuno si è mai accorto che avevamo un obiettivo europeo per il 2010 di un tasso di occupazione femminile al 60% e che lo abbiamo "bucato"? Qualcuno ha fatto qualcosa per perseguirlo successivamente al 2010? La risposta è no. Siamo al 48,5%. Anni luce dalla media europea del 64,5%. 

Il primo e fondamentale obiettivo che bisogna perseguire è la crescita dell’occupazione femminile. Buona occupazione, come dice l’Organizzazione internazionale del lavoro. 

Ci vuole un grande piano. Una strategia di breve, medio e lungo termine. Tre assi fondamentali.

Primo. Lanciare una grande offensiva culturale per rimuovere gli ostacoli all’accesso al lavoro legati agli stereotipi di genere e ai gap formativi delle ragazze rispetto ai ragazzi, soprattutto nelle materie scientifiche. Servono stanziamenti cospicui per misure contro gli stereotipi di genere nelle scuole per rendere normale che le ragazze accedano allo studio delle materie Stem come i ragazzi. 

Misure incentivanti di breve periodo che intervengano sull’abbassamento delle tasse universitarie, e misure di medio-lungo periodo, che partano dalle scuole primarie, con una impostazione più motivante dell’insegnamento delle materie scientifiche e dell’educazione finanziaria. E qui la creatività deve svilupparsi tra gli insegnanti.

Secondo. Rimuovere gli ostacoli all’accesso, alla permanenza in occupazione delle donne, alla carriera, rappresentati dal forte sovraccarico di lavoro familiare sulle loro spalle e che induce all’abbandono del lavoro dopo la nascita di un figlio.

Il lavoro non retribuito delle donne nella cura di bambini, anziani e disabili, perlomeno per una buona parte, deve trasformarsi in lavoro retribuito, come è successo negli altri Paesi. Cominciamo subito dal settore pubblico con un grande piano per le infrastrutture sociali, investendo e assumendo nei servizi per la sanità, per l’assistenza, per l’educazione (della prima infanzia, per il tempo pieno e l’insegnamento di sostegno specializzato). Individuando il fabbisogno di nuove professioni necessario. 

Usiamo anche i voucher per la cura come previsto in Francia.

Investire in questi settori induce forte crescita di occupazione femminile, perché le donne sono spesso maggioranza al loro interno e perché agisce da moltiplicatore. Diminuendo il sovraccarico di lavoro di cura si aumenta la probabilità di ingresso e permanenza nel mercato del lavoro delle donne, ed al tempo stesso la cura ed il benessere dei cittadini. 

Agiamo anche sulla condivisione del lavoro familiare tra uomini e donne, aumentando il numero di giorni di congedo di paternità e la copertura economica dei congedi parentali.

Terzo. Grande investimento nell’imprenditoria femminile attraverso migliore accesso al credito, spesso negato alle donne, incentivi, orientamento, formazione e affiancamento nei primi tre anni di vita dell’azienda, specie nei nuovi settori economici emergenti. Bisogna fare presto. Siamo in piena she-cession, recessione che colpisce più le donne. 

O si interviene massicciamente ora, o la nostra crescita non sarà inclusiva e aumenterà gli squilibri. Perché ricordiamoci che il vincolo degli investimenti del Pnrr al 57% in settori che favoriscono di più l’occupazione maschile può svantaggiare le donne. Tante associazioni lo denunciano, riunite in "donne per la salvezza" e tante altre. Servono contrappesi. Serve valutazione di impatto di genere. Le donne, in tante, a prescindere dall’estrazione politica lo richiedono. E contano, sono la metà del Paese.

Linda Laura Sabbadini è direttora centrale Istat. Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità dell’autrice e non impegnano l’Istat

La Repubblica 1/3