mercoledì 17 marzo 2021

UN COMUNE DESTINO

 Due Matteo, un solo destino

L’importanza di chiamarsi Matteo nella politica italiana sembra segnare un destino comune. Matteo Renzi e Matteo Salvini diventano ogni giorno più simili.

Entrambi hanno avuto una popolarità folle ed entrambi l’hanno sprecata in un battito d’ali.

Matteo Salvini ieri ha superato se stesso facendo credere che con una fabbrica di Monza produrrebbe vaccino Sputnik in tempi record con l’aiuto dei russi e, sapendo della vicinanza affettiva del segretario della Lega con lo zar Putin, per qualche ora gli italiani hanno seguito la vicenda con trepidante curiosità. 

Certo, dopo che la Regione Lombardia rispondeva alla notizia affermando di essere completamente estranea ai fatti, così come l’Unione Europea testimoniava di non aver alcun programma Sputnik in corso, è sorto qualche dubbio sulla veridicità della vicenda che si indirizza ora sempre più verso faccende oscure tra il leader del Cremlino e la Lega. 

Si faccia o no il vaccino, Matteo Salvini si è lanciato a gran voce a testimoniare lo scoop come cosa sicura, facendo balzare alla mia memoria qualcun altro che chiacchierava e prometteva con la stessa disinvoltura.

Ho conosciuto Matteo Renzi che aveva poco più di trent’anni, era presidente della provincia di Firenze e mi raccontò che stava organizzando una mostra di carrozze antiche, idea interessante se si fosse svolta a Tromsø in Norvegia, ma a Firenze si perdeva un tantino tra le magnificenze rinascimentali.

Appena eletto sindaco, lanciò il progetto di rifare l’aeroporto di Firenze, città giusto al centro tra Roma e Milano e a pochi chilometri da Pisa e promise ai fiorentini un gigantesco nuovo stadio. 

Come è ovvio, le opere non furono mai realizzate perché insensate. Uno dei topos preferiti di Salvini è invece annunciare con una certa cadenza il ponte sullo stretto di Messina.

Il momento magico, Renzi lo raggiunse facendo rimbalzare sui quotidiani del mondo intero la notizia della sua eccezionale scoperta artistica. La “Battaglia di Anghiari” di Leonardo Da Vinci, secondo l’ex sindaco di Firenze, era celata sotto l’affresco di Giorgio Vasari nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. 

Si spinse così in là da trapanare l’opera del Vasari e i suoi “esperti” dichiararono di aver riconosciuto il famoso “nero” usato per dipingere la Gioconda. Un’avventura a metà tra Dan Brown e Indiana Jones. Com’è che poi non si seppe più nulla di cotanta scoperta? Perché era una bufala, ma era un’idea tanto bella che non si poteva che gridarla ai quattro venti, poco importava che non fosse vera. 

Così come la fabbrica di Monza che salverebbe gli italiani dal Covid in quattro e quattr’otto.

Forse invidioso delle amicizie potenti e imbarazzanti di Salvini, come con Vladimir Putin, Matteo Renzi è già volato un paio di volte in Arabia Saudita, a elogiare personaggi inguaiati con la scomparsa di giornalisti di opposizione. Anche in Russia chi contesta ogni tanto sparisce.

Entrambi i segretari hanno raggiunto percentuali da record alle elezioni europee, Salvini il 34 per cento e Renzi addirittura quasi il 41. Pensarci oggi, sembra incredibile. Tutti e due, ancora quarantenni, vantano una pagina Wikipedia più lunga di quella di Giuseppe Mazzini. Bisogna riconoscere loro una certa genialità. 

Purtroppo sia uno che l’altro, quando è stato il momento di governare, hanno infilato un disastro dopo l’altro, culminando nel caso di Renzi con il referendum suicida sulla Costituzione, nel caso di Salvini causando il crollo del governo sicuro di stravincere alle immediate elezioni, che poi non ci sono mai state. Sono due facce dello stesso populismo.

Matteo Renzi ha raggiunto il successo grazie a una brillante parlantina e solo dopo qualche anno i suoi interventi sono diventati insopportabili sproloqui quotidiani che gli hanno causato, con strabiliante rapidità, la discesa dal 41 per cento al 2 virgola qualcosa. La gente oramai ha scoperto i suoi bluff e non gli crede più. Gli elettori della Lega, anche se con qualche dubbio, ancora seguono il loro leader. Ma per quanto?

Curzio Maltese, La Repubblica 10 marzo