«I nuovi investimenti rischiano di finire all’industria bellica e non alla Sanità»
30.04.2021
Il Manifesto
Se
 si fa una ricerca sul sito del governo, nel Piano nazionale di ripresa e
 resilienza le parole spese militari e armi non compaiono. Ma quanti 
fondi finiranno all’industria bellica senza dichiararlo? È quello che si
 domandano il Comitato Bds, Comitato di lotta per la salute mentale di 
Napoli, Comitato Pace, disarmo e smilitarizzazione, Napoli città di 
Pace, Rete campana contro la guerra e il militarismo in un opuscolo 
scaricabile all’indirizzo http://tinyurl.com/opuantim.
Delle
 sei misure previste dal Pnrr (191,5 miliardi dal Next generation Eu, 
30,6 miliardi dal Fondo complementare ottenuto dagli scostamenti di 
bilancio), la voce che dovrebbe starci più a cuore è Salute, che però si
 ferma a 18,5 miliardi, di cui 15,6 miliardi dal Pnrr e 2,9 miliardi a 
debito. Il sindacato dei medici Anaao Assomed lamenta: «I 15 miliardi 
sono appena l’8% del fondo europeo, molto meno di quanto destinato al 
superbonus edilizio. I 5,6 mld per l’ammodernamento degli ospedali 
appaiono largamente insufficienti rispetto alle necessità». Il piano 
investe «nell’infrastruttura tecnologica per la raccolta, l’elaborazione
 e l’analisi dei dati». Un comparto su cui sta investendo anche 
Leonardo, che sta sviluppando accordi con le case farmaceutiche.
La
 salute sarà la nuova frontiera della cyber security. È un problema? Una
 domanda che dovremmo porci visto il peso diseguale degli investimenti 
nei due comparti, salute e difesa. In 18 anni, il finanziamento del 
Sistema sanitario è passato dal 7% del Pil nel 2001 al 6,6% nel 2019. 
Dal 2010 al 2019 sono stati tagliati oltre 37 miliardi. Siamo passati da
 1.381 istituti di cura (il 61,3% pubblici) del 1998 ai mille del 2017 
(il 51,80% pubblici). Nel 1998 c’erano circa 311mila posti letto, nel 
2017 circa 191mila. «La spesa militare italiana invece ha continuato ad 
aumentare: più 9,9% tra il 2015 e il 2018 – si legge nell’opuscolo -. 
Questa tendenza all’aumento annuale della spesa militare viene 
confermata anche in piena pandemia. La manovra finanziaria per il 2021, 
appena varata dal governo, ha destinato al bilancio della difesa ben 
24,5 miliardi di euro». Ma il comparto militare pesca anche in comparti 
che sembrano estranei alla Difesa.
«Dentro
 gli ampi obiettivi – si legge ancora – compaiono linee d’intervento 
dalla doppia ricaduta civile- militare o direttamente indirizzate al 
potenziamento della filiera industriale dell’aerospazio, della difesa e 
della sicurezza.
 Questo è quanto mai evidente nelle misure 1 
(Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura) e 2 
(Rivoluzione verde e transizione ecologica), a cui andrà la fetta più 
grande della torta del Recovery (rispettivamente 49,2 e 68,6 miliardi 
ndr)».
 Persino i fondi per «Banda Larga, 5G e monitoraggio satellitare» 
rischiano di finire in larga parte ad alimentare il settore militare. 
Così come gli investimenti sull’idrogeno si rischia che vengano 
assorbiti da progetti per elicotteri militari. 
Persino la dotazione di 
fondi alla ricerca universitaria rischia di finire nelle partnership con
 le industrie belliche.
Orientare 
produzione, ricerca e sviluppo verso l’industria bellica, senza mai 
dichiararlo in modo esplicito, provoca un cambio di paradigma sociale: 
«La gestione della pandemia – spiegano – è stata trasformata in un 
grande esperimento di disciplinamento sociale e di legittimazione 
dell’apparato militare. La gestione della crisi è stata usata per 
riaffermare il ruolo dei militari, utilizzati ad esempio per la 
logistica dei vaccini».
Alex Zanotelli 
ricorda il costo da pagare: «Secondo i dati Onu, 2 miliardi di persone 
soffrono di insicurezza alimentare, 690 milioni in forma severa. Per la 
pandemia avremo altri 250 milioni di impoveriti e raddoppieranno quelli 
assistiti dal Programma alimentare mondiale. Duemila super ricchi 
detengono una ricchezza superiore a quella posseduta da 4,5 miliardi di 
impoveriti. Ogni 5 secondi muore di fame un bambino. 
Secondo 
l’Organizzazione internazionale del Lavoro si sono persi più di 400 
milioni di impieghi e più di 1,6 miliardi di lavori nell’economia 
informale. Sarebbe impossibile per i ricchi vivere da nababbi se non 
fosse per lo strapotere dovuto alle loro armi».