mercoledì 5 maggio 2021

Troppe opinioni pochi fatti

Il problema dei talk show


Venticinque anni fa, Sergio Lepri, grande giornalista e scrittore, direttore dell'Agenzia Ansa dal 1961 al 1990, disse che i talk show erano un esempio di non-informazione e a volte di disinformazione. Pochi giorni fa Sergio, 102 anni, mi ha confermato questo suo pensiero. Copiando il modello americano il talk show non è informazione, è spettacolo dove il politico non trasmette un messaggio ma è egli stesso il messaggio attraverso l'espressione del volto e il tono della voce. É la forma che prevale sulla sostanza. Così i politici vanno a scuola di linguaggio e comunicazione, mentre i conduttori studiano nuove tecniche di regia con l'uso di più telecamere, dei teleobiettivi, dei doppi o tripli schermi. Ma questa evoluzione non riguarda solo il mondo della comunicazione politica. Ne abbiamo avuto un chiaro esempio in quest'ultimo anno di pandemia in cui i talk show hanno visto sfilare una serie infinita di virologi, immunologi, epidemiologi. La pandemia ha generato anche una grave crisi economica sulla quale molti economisti hanno descritto nei talk show i più diversi scenari e le più incredibili soluzioni.


Il grande circo

I talk show creano così un circo formato da coloro che meglio si esprimono davanti a uno schermo e che sono sempre disponibili a partecipare. Di questo circo fanno parte scienziati come Ilaria Capua, Antonella Viola, Massimo Galli, Fabrizio Pregliasco. Tra gli economisti svetta per numero di presenze Carlo Cottarelli. E poi moltissimi giornalisti, alcuni dei quali sono come la Costante di Planck: se non ci sono loro non c'è azione. Basta seguire qualche talk show per rendersi conto che queste persone, anche se sono illustri scienziati, economisti, sociologi, filosofi, hanno solamente pochi minuti per esprimere la loro opinione, spesso interrotta dall'intervento del conduttore o di altri partecipanti. Idee e pensieri rimangono quindi sempre in superficie senza mai dare una visione completa e reale di un problema. Tutto quello che si è detto nei talk show sulla pandemia ha forse creato nel telespettatore più confusione che conoscenza. E questo è accaduto in un campo, quello della salute, dove un'informazione sbagliata, ad esempio sul vaccini, può spingere le persone a prendere  decisioni rischiose. Importante è poi il ruolo e il comportamento del conduttore, soprattutto nella scelta degli ospiti, poi nello stile di dialogo. La sua preparazione può essere molto elevata per quanto concerne le tecniche di comunicazione, di linguaggio e di conduzione di un dibattito, ma inevitabilmente, dovendo affrontare nella stessa trasmissione temi politici, economici, giudiziari o scientifici, la sua figura appare quella di un tuttologo che su ogni tema resta in superficie rischiando di dare al telespettatore una non-informazione o una informazione sbagliata, Questo è grave perché nell'immaginario collettivo la televisione ha un elevato livello di affidabilità. In questo contesto non possiamo ignorare che solo il 38 per cento degli italiani legge un quotidiano (Istat 2018) e che solo il 40 per cento legge almeno un libro all'anno (Istat 2019). Questo conferma che molte opinioni si formano attraverso la televisione, quindi i telegiornali, ma anche i talk show che hanno una share che varia dal 7 per cento al 14 per cento. Difficilmente, seguendoli, ci si può fare un'idea precisa e corretta su eventi politici, situazioni sanitarie o pronunciamenti giudiziari. Molte volte questi talk show assomigliano ai salotti romani (infatti molti partecipanti sono di Roma) dai quali Nino Andreatta suggeriva di stare lontano. Il governo Draghi ha offerto un nuovo stile di comunicazione: essenziale e comprensibile. Per un miglioramento radicale dell'informazione bisognerebbe eliminare i talk show, ma forse questo risulterebbe incostituzionale.

Alfredo Roma, economista

Domani, 18 aprile