La tassa contro l’egoismo
di Francesco Guerrera
La Repubblica 7/9
Londra è un luogo improbabile per la rinascita del multilateralismo nella diplomazia mondiale.
Ma
l’ironia della Storia ha voluto che una decisione attesissima sulla
tassazione internazionale avvenisse nella capitale del Paese che, con la
Brexit, ha fatto dell’unilateralità la sua ragion d’essere.
In
senso tecnico, l’accordo raggiunto sabato dai ministri delle Finanze
del G7 sulle imposte alle multinazionali è solo una tessera nel puzzle
di come tassare grandi aziende, dannare i paradisi fiscali e punire
quelli che Lucio Dalla chiamava "i troppo furbi". Ma in senso lato,
l’intesa dei sette pezzi grossi dell’economia mondiale è un potentissimo
ripudio delle politiche populiste, egoiste e egemoniche che hanno
caratterizzato le relazioni internazionali degli ultimi anni.
Ha detto
bene Paolo Gentiloni nelle sue dichiarazioni a caldo dopo il G7:
«L’accordo è un risultato straordinario e non sarebbe stato possibile
senza il recente cambio dell’amministrazione statunitense. Il
multilateralismo è tornato». Bentornato multilateralismo, dopo gli anni
bui di Donald Trump, il businessman che ha scritto un bestseller
intitolato L’Arte dell’Accordo ma che da presidente è riuscito solo ad
isolare gli Usa con una politica estera meschina, capricciosa e puerile.
L’Europa,
dal proprio canto, non può scagliare la prima pietra, vista la recente
proliferazione di "tasse digitali" (in Paesi come l’Italia, la Francia e
la Spagna) create esclusivamente per colpire le grandi di Silicon
Valley.
Ma non dimentichiamoci che i
veri "eroi" dell’unilateralismo sono la Cina di Xi Jinping e la Russia
di Vladimir Putin, che hanno approfittato della frammentazione
dell’Occidente democratico per guadagnare influenza sulla scena
internazionale. Come Gentiloni, tutti i protagonisti del summit di
Londra hanno dato credito a Janet Yellen, il ministro del Tesoro di Joe
Biden, per aver negoziato l’accordo.
Anche
questa è una caratteristica fondamentale della diplomazia
multilaterale: sta al Paese più forte fare i compromessi più
significativi. Solo così può chiedere alle altre parti di fare dei
sacrifici.
In questo caso, gli Usa hanno
accettato che i colossi del Web – da Apple a Google, da Microsoft a
Facebook – dovranno pagare più tasse ai governi dei Paesi in cui operano
e generano profitti. La decisione ha placato i "grandi" dell’Unione
Europea – Germania Francia, Italia e Spagna – che ora dovranno
persuadere membri come l’Irlanda a mettersi in riga.
In
cambio, Biden ha ottenuto un’intesa su un’aliquota globale minima del
15%. È una concessione che permette al presidente Usa di alzare le tasse
sulle società americane senza temere che "scappino" nei paradisi
fiscali.
Attenzione, però, ai
trionfalismi. Se il vertice di Londra è davvero «il revival del
multilateralismo», come ha detto Yellen, la nuova era sarà piena di
sfide: dalla debellazione del Covid al salvataggio del pianeta, dalla
cooperazione militare alla battaglia contro le diseguaglianze
economiche.
Anche in materia di tassazione, non si può ancora cantare
vittoria. I Paesi del G7 dovranno convincere sia il resto del mondo, sia
i parlamenti nazionali ad accettare un accordo che non piacerà a tutti.
Persino negli Usa, Biden deve superare l’opposizione del partito
repubblicano ad una proposta che costerà miliardi di dollari in tasse ai
campioni del capitalismo americano.
L’Italia,
che ospita il summit dei ministri delle finanze del G20 il mese
prossimo, avrà un ruolo cruciale nello scrivere questo capitolo di
Storia.
Per fortuna, quel vertice si svolgerà a Venezia, città costruita
sull’acqua ma fondata sul multilateralismo.