mercoledì 14 luglio 2021

LA SVIZZERA TENERA CON I MAFIOSI ....

 Perché alla ’ndrangheta piace la Svizzera

Serge Enderlin, Le Monde, Francia

“Solo Dio può giudicarmi”. Postato su Instagram, questa affermazione strafottente di un mafioso italiano aveva come destinatari i magistrati e l’opinione pubblica svizzera, dopo che il tribunale di Bellinzona aveva rinunciato a estradare l’uomo in Italia a causa di un vizio di forma nella procedura. L’accusato è uscito libero dall'aula del tribunale, con la sua patente B e un permesso di soggiorno di lunga durata concesso senza problemi dal cantone del Ticino.

“Ci si può chiedere seriamente qual è la rete di complicità, a chi sono pagate le tangenti e chi sono gli intermediari, visto il forte aumento di permessi di soggiorno concessi ai mafiosi latitanti", osserva la giornalista Madeleine Rossi, che nel suo libro La Mafia en Suisse (La mafia in Svizzera) racconta la conquista del paese da parte dei diversi gruppi del crimine organizzato italiano. Il libro si Concentra sull’espansione della ’ndrangheta, che negli ultimi anni ha largamente sostituito la camorra e cosa nostra.

In gennaio si è aperto a Lamezia Terme, nella nuova aula bunker, il maxiprocesso Rinascita-Scott, che per la ’nd1'angheta dovrebbe essere quello che per cosa nostra era stato il maxiprocesso di Palermo nel 1986. Vale la pena di ricordare le parole di Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro: “La ’ndrangheta non e più una mafia di pastori specializzata nei rapimenti, ma una holding internazionale del crimine".

La maggior parte degli accusati è stata arrestata in operazioni di polizia nel dicembre 2019 in Italia, Germania, Svizzera e Bulgaria. La varietà di reati attribuita è notevole: associazione mafiosa, omicidio, traffico di droga, corruzione, estorsione, usura, abuso di potere, ricettazione, riciclaggio di denaro e violazioni delle norme ambientali. In Calabria la ‘ndrangheta si è infiltrata in quasi tutte le sfere della vita pubblica: i consigli comunali, gli ospedali, i cimiteri e ora anche i tribunali. Le autorità ritengono che ci siano 150 famiglie appartenenti alla ’ndrangheta e almeno seimila ’ndranghetisti, ai quali bisogna aggiungerne diverse migliaia sparse nel mondo, in particolare in Sudamerica e a New York. Secondo Gratteri, questa multinazionale del crimine fattura ogni anno 50 miliardi di euro.

In Svizzera la “holding” aveva una succursale. La sua scoperta nel 2016 ha colto di sorpresa la stampa elvetica, che improvvisamente si è resa conto dell’ampiezza dell'infiltrazione mafiosa.

La società di Frauenfeld

Frauenfeld, piccolo paese di origini medievali e principale agglomerato del cantone agricolo della Turgovia, è noto per le mele. In un video della polizia federale (Fedpol) si vedono sedici uomini seduti nella sala interna di un caffè, intorno a due tavoli illuminati da una luce fioca e in un’atmosfera da cospirazione. Il padrone di casa apre la riunione: “Buon vespro, società". Poi ricorda “le regole d’onore, di valori, di tradizione e di rispetto che reggono l'onorevole società dal 1830“. La Fedpol ha messo le mani sulla più importante cellula della ’ndrangheta in Svizzera, la venerabile “società di Frauenfeld".

Si pensa che nel paese elvetico ci siano almeno una ventina di società come questa, anche se il dato non sembra destare particolare preoccupazione nell’opinione pubblica elvetica, a parte forse nel cantone del Ticino, il più colpito. Ma è soprattutto nella Svizzera tedesca che la ’ndrangheta sta tessendo la sua tela, tra Basilea, Berna e Zurigo. Anche i cantoni alpini dei Grigioni e del Valais (alla frontiera con l’Italia) sono particolarmente interessati dal fenomeno. “La seconda lingua della 'ndrangheta e il tedesco”, dice il procuratore federale svizzero Sergio Mastroianni. "Le intercettazioni telefoniche confermano che i mafiosi trovano un terreno favorevole nella Svizzera tedesca, dove si sentono sicuri”.

Ormai la criminalità organizzata non si limita a riciclare il denaro sporco. Ora lo reinveste nell’economia legale, a cominciare dal settore della ristorazione. Ci solo molti ristoranti italiani senza clienti o quasi che, “nonostante non facciano affari, restano aperti e vengono regolarmente innovati", osserva Madeleine Rossi. “Ho fatto un giro per Lugano insieme a un magistrato che mi indicava i vari locali: questo è dei calabresi, quello dei siciliani e così via”. Eppure, anche se si moltiplicano arresti e indagini, nel paese se ne parla poco. Ingenuità, mancanza di curiosità? “Questo problema non può esserci da noi. La mafia la lasciamo agli italiani", ha sentito dire un giorno Madeleine Rossi da un funzionario federale. Tuttavia la giornalista ha raccolto decine di storie di criminali e di loro complici, che hanno potuto contare sulla collaborazione e sulla mediazione di persone, non necessariamente mafiose, anche all’interno delle amministrazioni cantonali. “Non si tratta di semplici voci, ma di fatti che riguardano ristoranti, bar e aziende gestite direttamente dalle cosche della ’ndrangheta”, scrive Rossi. “In Italia come in Svizzera, la criminalità organizzata sa sfruttare benissimo le debolezze del sistema, della politica e dei mezzi d’informazione, in grado di farla sembrare un elemento marginale rispetto alle ossessioni che definiscono il presente, come il terrorismo, l’islamismo e la piccola delinquenza, molto più visibili”.

Un colabrodo

La Svizzera non è certo l’unico paese interessato dalla crescente globalizzazione della ’ndrangheta. Alcune cellule sono attive in Germania (sei morti in un regolamento di conti il 15 agosto 2007 a Duisburg), in Olanda o in Austria. Ma il territorio svizzero offre alcuni vantaggi che l’organizzazione criminale di origine calabrese non può trovare altrove: la vicinanza geografica e una relativa semplicità nel riciclaggio del denaro, nonostante gli strumenti giuridici esistenti. “Il paese continua a essere un colabrodo", osserva Madeleine Rossi. Inoltre in Svizzera è molto facile procurarsi le armi. Non è raro infatti che quelle ritrovate nei nascondigli dei clan in Aspromonte, nel cuore della Calabria, portino sul calcio una piccola croce svizzera, a riprova della loro affidabilità.

Internazionale, 2 luglio