mercoledì 29 settembre 2021

La normalità del fascismo

di Michele Serra

 

Il pugile triestino con tatuaggi nazisti, con codazzo di fan che lo acclamano a mano tesa — e non in una oscura palestra ma in un combattimento per il titolo italiano — è solo l'ultima pagina di un interminabile libro che potrebbe intitolarsi: normalità del fascismo. Decine di episodi possono essere un'eccezione, centinaia un problema, ma migliaia sono la norma.

Dalle curve degli stadi ("abbiamo una squadra fantastica/fatta a forma di svastica", cantano gli ultras del Verona) ai muri di Roma, da decenni palestra a cielo aperto della grafica littoria e della propaganda fascista, dai raduni musicali del rock "bianco" (un ossimoro, direi) ai Consigli comunali, dal mussolinismo verbale del Salvini al fiorente squadrismo social, come si può dire che si tratti di un'emergenza, o di una scandalosa eccezione?

È, ripeto, un pezzo minoritario, ma consistente, della normalità politica italiana: unici in Europa, assieme a Paesi dell'Est con meno tradizioni democratiche, ad avere un così vivace rapporto con quella lugubre eredità, che ancora odora di guerra e di morte a distanza di quasi un secolo.

Non è, questo, un problema della sinistra: che anzi, più si indigna, meno ottiene. È — lo scrivo da secoli, ho davvero noia di me stesso — un problema della destra. Fino a che non sarà la destra italiana a fare antifascismo, il fascismo si sentirà protetto, accettato e giustificato.

Oggi come oggi, liste elettorali alla mano, il fascismo è una componente organica del centrodestra, e questo è un potentissimo incentivo a considerarsi normale. «Era nazista ma è stato gentile», ha detto l'avversario (italo-marocchino) del pugile nazista.

Appunto. Era gentile perché non aveva alcun bisogno di non esserlo. Si sentiva a casa sua.

 

La Repubblica, 21 settembre