lunedì 4 ottobre 2021

I NOSTRI FRATELLI ANIMALI

di Carlo Petrini

La Repubblica 18/9

Il legame con gli animali è un elemento che, come specie, ci accompagna da quando l’ Homo sapiens inziò ad abitare la Terra. Una relazione che si è evoluta nel corso dei millenni; dal venerarli, al cacciarli, dal difenderci, all’allevarli per trarne innumerevoli benefici che vanno oltre al mero nutrimento. Una relazione retta da una costante: la consapevolezza che il benessere è vero solo quando condiviso nel rispetto dei ruoli.

Questa relazione è rimasta tale fino a qualche decennio fa, quando c’era ancora una maggiore interazione fra allevamento e agricoltura: gli animali erano parte integrante delle fattorie; fornivano lavoro, cibo, riparo dal freddo e letame per fertilizzare i campi, si nutrivano con leguminose e cereali coltivati nella stessa azienda.

Poi c’è stata una separazione netta; gli animali sono stati allontanati dalla terra e chiusi in stalla; oggi fertilizzanti e mangimi si acquistano (questi ultimi arrivano spesso da paesi lontanissimi), il letame è considerato un rifiuto speciale. Insomma si è interrotto il circolo su cui si fondava l’agricoltura tradizionale e gli spazi adibiti agli animali allevati si sono fatti sempre più lontani da quelli abitati dall’uomo.

Lontano dagli occhi, ma purtroppo anche dal cuore. Ed è questo secondo aspetto che a mio avviso è stato la causa di molti problemi attuali. Alla pari dei macchinari gli animali sono stati trasformati in mezzi di produzione per i quali si calcolano efficienza, capacità produttiva e velocità. Mentre i luoghi dove dimorano — siano stalle, pollai o altro — hanno preso le sembianze di fabbriche: grandi capannoni grigi che a volte capita di scorgere ai lati delle strade. Da una relazione di mutuo beneficio, di cura e di attenzione — che permane tutt’ora negli allevamenti estensivi e di piccola scala — si è passati a un dominio dell’uomo che risponde alle leggi del mercato. Ed è così che, anche parlando di esseri viventi, ci siamo abituati a fermarci alla superficialità delle cose, dimenticandoci che dietro al pezzo di formaggio che mangiamo c’è un animale che forse ha avuto una vita misera, e che questo ha implicazioni economiche, sociali e ambientali che vanno ben oltre il nostro atto del consumo.

Da predatori apicali quali siamo, che riconoscono la necessità della convivenza con tutte le altre specie animali, ci siamo trasformati in veri e propri usurpatori della Terra e dei suoi inquilini. Ecco allora che il fil rouge

di Cheese 2021 "Considera gli animali" è un caloroso invito a ripensare il nostro atteggiamento nei loro confronti. Attenzione però, questo non significa innescare atteggiamenti di pietismo che umanizzano gli animali associando bisogni, tratti e comportamenti che non gli appartengono. Dobbiamo ripensare la nostra relazione con il regno animale ponendoci all’interno della cornice in cui essa si sviluppa naturalmente. Sto parlando degli ecosistemi che gli animali abitano — che non possiamo continuare a distruggere — ma anche del preciso ruolo ecologico che ogni specie è stata predisposta a svolgere e che noi stiamo alterando. Le conseguenze di tutto ciò le ha dimostrate in maniera drammatica la pandemia. In un mondo in cui tutti gli esseri viventi (e non) sono collegati da una fitta rete di relazioni, le scelte che facciamo, incluso il cibo che scegliamo di mangiare, come è ottenuto e allevato, ha implicazioni che possono portare a un pianeta in salute e in cui vi è equilibrio tra le parti, o al contrario al futuro insorgere di nuove pandemie o all’acuirsi dell’emergenza climatica.

Cheese 2021 "Considera gli animali" ha quindi due ambiziosi obiettivi: segnare con fiducia la ripartenza dopo la pandemia e sensibilizzare alla rigenerazione dei nostri rapporti con la Terra e i suoi abitanti. Una ripartenza di senso che — sembra impossibile — ma può essere racchiusa all’interno di una forma di formaggio.