sabato 16 ottobre 2021

Quando Bobbio spiegò il significato del 25 aprile

 

Premesso che le colpe dei nonni non devono ricadere sulle nipoti, mi piacerebbe assai che Rachele Mussolini, che il 25 aprile festeggia «solo San Marco», e tanti afascisti, criptofascisti e nostalgici del ventennio nero, che non hanno vissuto, leggessero e commentassero quello che disse il filosofo, giurista e politologo Norberto Bobbio in un discorso rivolto ai cittadini torinesi, agli uomini e alle donne della Resistenza il 25 aprile 1957: «Un'esplosione di gioia il giorno della Liberazione si diffuse rapidamente in tutte le piazze, in tutte le vie, in tutte le case: ci si guardava di nuovo negli occhi e si sorrideva.
Tanto prima il volto di un ignoto passante ci pareva ostile, altrettanto ora ci pareva un amico a cui avremmo volentieri confidato il nostro animo.
Ci si abbracciava per via. Si sventolavano fazzoletti e bandiere. Le strade, nonostante che gli ultimi cecchini sparassero dai tetti, si rianimavano. Non avevamo più segreti da nascondere. E si poteva ricominciare a sperare. Eravamo ridiventati uomini con un volto
solo e un'anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi.
Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all'uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà. Sono stati giorni felici; e nonostante i lutti, i pericoli corsi, i morti attorno a noi e dietro di noi, furono tra i giorni più felici della nostra vita».

 

Lorenzo Catania, Domani 11 ottobre