sabato 27 novembre 2021

PREGHIERA COMUNITARIA: DOMENICA 28/11/2021 ORE 10.00

 Momento di preghiera comunitaria

Il carico di ogni giorno

G. Ancora una volta ci è donato di stare insieme sotto lo sguardo di Dio. Una settimana si è chiusa, un’altra si apre, invitandoci a ricominciare il cammino con quelle forze che la pausa dai mille compiti, il silenzio dopo il rumore assordante dei giorni ci consente di recuperare. Basteranno? Anche l’anno volge al termine, e sulle nostre spalle c’è spesso tanta stanchezza. Portiamo carichi diversi, ma diverse sono le energie a nostra disposizione. In ogni caso, abbiamo fiducia che il sostegno di Dio, che avvolge tutti e tutte noi, non ci abbandona mai, anche quando con le nostre sole forze crediamo di non farcela.

T. Grazie, o Dio, grazie ancora per questo giorno in cui ci raduni per manifestarci il Tuo amore.

  1. Sei uno specialista nel cercare la pecora perduta: cercaci quando ci perdiamo per svogliatezza o sonnolenza, quando ci inoltriamo stoltamente in vicoli ciechi.

Tu sai attenderci quando il nostro passo si fa lento. Sai aspettarci quando il nostro piede vacilla.

Sei ancora lì anche quando ogni treno è passato...

  1. Siamo immersi in un mondo che esalta il successo, che ci vuole incessantemente efficienti, competenti, visibili, “brillanti”; magari anche ricchi.

Non possiamo fermarci, non possiamo cadere. Niente spazio per debolezze o dubbi; uomini e donne con una story da mostrare più che con una storia da vivere.

Ma Tu conosci, o Dio vicino, il sapore delle nostre lacrime e il peso schiacciante dei nostri sforzi falliti.

Tu ci perdoni quando noi non ci perdoniamo.

Tu ci inviti a guardare oltre i risultati e le apparenze. Dei giorni che ci doni, anche i più inutili sono preziosi: non torneranno più. Aiutaci a ricordarcene, nei nostri successi come nei nostri insuccessi, quando ci sentiamo forti e quando vorremmo solo trovare un ricino, come Giona, e addormentarci alla sua ombra.

SPUNTI DI RIFLESSIONE BIBLICA

Qohelet, 2, 23-26

Quale profitto viene all'uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità! Non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere e godersi il frutto delle sue fatiche; mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio. Difatti, chi può mangiare o godere senza di lui? Egli concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre a chi fallisce dà la pena di raccogliere e di ammassare, per darlo poi a colui che è gradito a Dio. Ma anche questo è vanità e un correre dietro al vento!

Qohelet, 11, 4-6

Chi bada al vento non semina mai, e chi osserva le nuvole non miete. 

[Tu] ignori l'opera di Dio che fa tutto.
La mattina semina il tuo seme, e la sera non dar riposo alle tue mani, perché non sai qual lavoro riuscirà, se questo o quello, o se saranno buoni tutti e due.

Vangelo di Marco 6, 47-51

Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E salì sulla barca con loro e il vento cessò.

PICCOLE RIFLESSIONI SPARSE

Il lavoro quotidiano è un dato fondamentale dell'esistenza umana, proprio nella sua dimensione di fatica incessante, tanto che il mito della creazione che tutti conosciamo lo mette in rapporto con il peccato; come un prezzo da pagare per il “potere sul creato” che l’essere umano crede gli sia affidato. Senza contare tutte le volte in cui l’ingiustizia e la rapacità, la sete di guadagno, o semplicemente la difficoltà di gestire i rapporti tra le persone, fanno del lavoro un vero peso più o meno opprimente. Esiste, e le voci raccolte nella Bibbia la conoscono, anche la gioia del lavoro, della raccolta dei frutti, ma non è sempre facile crederci; gli affanni per i compiti di ogni giorno molte volte non producono risultati tangibili. Può essere conseguenza di nostri errori, di scelte sbagliate, ma in ogni caso è l’aspetto ordinario della vita della gente, e inoltre la nostra caducità di creature sembra relativizzare anche la portata del più grande successo." Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità!". In Qohelet, la fatica diventa una parabola dell’intera esistenza incompiuta e alla fine dei conti senza senso; “sotto il sole” ci mette davanti agli occhi la ripetizione dei giorni e delle notti, che rischiano di diventare sempre uguali... Fatica che non finisce mai, il lavoro diventa assurdo se è lo scopo di tutto, il senso della vita; davanti a grandi successi, può trasformarsi in idolatria; altrimenti può renderci perennemente insoddisfatti, tesi a mettere insieme “il lunedì col venerdì” per poi precipitarci al centro commerciale, senza renderci conto che, in effetti, stiamo ancora lavorando – stiamo facendo il nostro lavoro di bravi consumatori.

C’è da porci due domande di fondo: la prima, come attingere le forze necessarie per andare avanti senza che la stanchezza ci sopraffaccia. Forse, il punto di partenza è, semplicemente, ammettere quando non ce la facciamo più. Mi pare di poter leggere così, anche se un po' sradicandola dal suo contesto, la storia tramandata a proposito del monaco Macario, che viveva nel quarto secolo nel deserto egiziano: un giorno, raccontano i Detti dei Padri del deserto,

saliva da Scete portando canestri, ed essendo molto affaticato, si mise a sedere e pregò con queste parole: "O Dio, tu sai che non ne posso più". E subito si trovò presso il fiume.

Le parole con cui Macario ammette la propria stanchezza denotano insieme la consapevolezza di non essere solo. Non recrimina, né verso altri né verso se stesso, solo si mette seduto e rivolge a Dio, in modo implicito, la richiesta di aiuto per portare il carico e raggiungere la meta. A noi, un soccorso simile può arrivare in mille modi; da “chiedere” è, forse, la capacità di ammettere i nostri limiti e saper riconoscere (o aspettare!) questo sostegno.

Dall’altra parte, il rischio è, nella fretta delle incombenze, o nel lasciarsi schiacciare dalla fatica, di perdere il senso di quanto è importante fare tesoro del tempo. Scriveva un filosofo:

Certi momenti ci vengono strappati via, altri ci vengono sottratti furtivamente e altri ci sfuggono senza che ce ne accorgiamo. Tuttavia, la perdita più vergognosa è quella che avviene per nostra negligenza. […] Tutta la vita [se ne vola via] nel disperdersi in altre cose estranee al suo vero senso. Chi potrai indicarmi che attribuisca un giusto valore al tempo, che tenga in pregio la giornata […] ? [...] Tieni stretta ogni ora; dipenderai meno dal domani, se ti impadronirai dell’oggi.

È un combattimento difficile, una sfida che non possiamo vincere da soli. Dobbiamo chiedere a Dio che ci resti vicino, e, nel contempo, sforzarci di percepire la Sua presenza.

T. O Dio, che conosci il numero dei nostri anni e percepisci anche i palpiti dei nostri cuori, accompagna i nostri giorni con il Tuo amore.

1. Rimettiamo anche oggi tutta la nostra vita davanti a Te, anzi nelle Tue mani.

La Tua compagnia non viene mai meno.

2. Tu sei il custode che non s’addormenta, sei il pastore che guida i nostri passi donandoci acqua che disseta e cibo che nutre.

1. Tu hai in serbo per noi l’olio prezioso che tiene accese le nostre piccole lampade e profuma i nostri giorni di speranza.

2. Sii Tu, o Dio, lampada per i nostri passi quando le tenebre, il freddo e le nebbie rischiano di farci smarrire la giusta direzione.

T. Donaci di gustare la dolcezza dei Tuoi doni

e nel nostro cammino di ogni giorno, costruire insieme sentieri di solidarietà.

PADRE NOSTRO

POESIA

Ai miei obblighi, Pablo Neruda

Compiendo il mio mestiere

pietra con pietra, penna a penna,

passa l’inverno e lascia

luoghi abbandonati,

abitazioni morte:

io lavoro e lavoro,

devo sostituire

tante dimenticanze,

riempire di pane le tenebre,

fondare di nuovo la speranza.

 Non è per me altro che la polvere,

la pioggia crudele della stagione,

non mi riservo niente

ma tutto lo spazio

e lì lavorare, lavorare,

manifestare la primavera.

 A tutti devo dar qualcosa

ogni settimana e ogni giorno,

un regalo di colore azzurro,

un petalo freddo del bosco,

e già di mattina sono vivo

mentre gli altri si immergono

nella pigrizia, nell’amore,

e sto pulendo la mia campana,

il mio cuore, i miei utensili.

 Ho rugiada per tutti.


per la Comunità Cristiana di Base – Via Città di Gap – Pinerolo

Antonella Ippolito, 28 novembre 2021