prof. Marco Dal Corso
Se
è vero che "i poeti sono religiosi che non hanno bisogno di religione
perché le cose meravigliose di questo mondo meraviglioso gli bastano"
(Alves) o ancora, come sostiene Turoldo che la vera preghiera non può
che essere una poesia, allora per coltivare speranza, per continuare a
sognare non fuggendo dalla realtà serve il richiamo imperativo
dell'etica, ma anche potere immaginativo della poesia. Non più teo-logia
allora ma teo-poetica. Perché rimane vero che occorre liberarsi da certi
comportamenti ma anche e soprattutto da altrettante visioni. Come
quella, presente anche nella riflessione religiosa, che promuove
l'epistemologia del realismo che non accetta cambiamenti perché non li
sa neppure immaginare, che ritiene che la realtà esistente sia tutto
quello che c'è da conoscere, magari dando nomi importanti all'esistente
(tradizioni, radici…).Le poesie che anche Turoldo ci ha lasciato in
dono, non rispondono solo al bisogno di dire in altro modo, ma spesso
dicono altro.
Le metafore, le immagini, le parabole di cui sono ricche le
religioni rispondono a un bisogno forte quanto il sesso e la carne: il
bisogno di vivere dentro un mondo che abbia senso. Davanti alle
sofferenze delle persone, del mondo non è sufficiente "dire la
verità". Le assenze della vita reclamano non verità, ma bellezza. La
sofferenza è il contrario della bellezza, eppure anche se quest'ultima
non annulla la prima, la bellezza della poesia è capace di far vedere
oltre la sofferenza e la morte attraverso una costruzione di significati
capaci di rivelare l'effimero della sofferenza.
Così le poesie come
simboli religiosi non valgono tanto per la verità che possono contenere,
ma per la bellezza che possono evocare. Alla teologia, come linguaggio
sulla fede, allora, spetta il compito non tanto di produrre dogmi,
quanto di articolare quello che è vissuto e sentito come
desiderio. Bisogna però che la religione è con essa la teologia, sappia
conservare lo spirito ludico, molto praticato ai tempi di Gesù: quello
di saper raccontare storie, di saper usare delle metafore, saper
scrivere poesie… ogni parola di verità in teologia è una preghiera.
"Così
la teologia rompe le gabbie della verità e si accontenta con molto
meno, dicendo parole poetiche, perché essa vuole molto di più: piuttosto
navigare liberi nei mari dell'incertezza, nella speranza degli
orizzonti che abitare sicuri nei pantani dove il naufragio è impossibile
".Le poesie, come ci ha insegnato Turoldo, possono liberare non solo l'
idea di Dio, non solo la visione circa l'umano, ma anche la stessa
lettura della realtà.
Il racconto poetico arricchisce di senso la realtà,
tiene anche il non senso che essa porta, non lo derubrica "a vita
sbagliata" da dimenticare.
Se tutto è grazia, come afferma la fede
cristiana, questa affermazione la possiamo sostenere per il coraggio
della poesia non per la coerenza della logica (che infatti non riesce a
vedere il bene nel male). Infatti, se c'è spazio per Dio nel mondo,
esso è possibile per il discorso narrativo, per la ricchezza della
metafora, per la libertà paradossale del racconto poetico. E se c'è
ancora spazio per Dio nel mondo allora la speranza è possibile. E
continuare a sognare un'umanità nuova.