L'inno (filosofico) alla gioia
di Isabella Guanzini
«Non è la soddisfazione di sé, la gioia non è la soddisfazione di sé. Non è affatto il piacere di essere soddisfatti di sé. È il piacere della conquista come diceva Nietzsche.
Ma la conquista non consiste
nell’asservire qualcuno, la conquista, ad esempio per un pittore, è
conquistare il colore, ecco una conquista, ecco la gioia»: la gioia come
conquista - e creazione - del mondo, del proprio mondo.
È anche in
questa citazione di Gilles Deleuze, che si comprende il senso de La
filosofia della gioia di Isabella Guanzini, già autrice di Tenerezza,
tradotto in spagnolo e in tedesco.
Il libro della filosofa e teologa
cremonese, attualmente docente di Teologia fondamentale all’Università
di Linz, in Austria, uscirà il prossimo 9 settembre per i tipi di Ponte
alle Grazie. Il saggio non è un prontuario per una facile via alla
felicità, né un manuale di istruzioni per l’uso, ma insegue - dalla
Bibbia a certa psicoanalisi contemporanea - il fil rouge della gioia
come sentimento di apertura alla vita.
Ed è una testimonianza delicata e
preziosa di ciò che potrebbe essere e che spesso non è, inghiottito
dalla ferocia e dalla paura della nostra epoca. Perché, conferma
Guanzini, «il tempo del contagio ha visto nascere ed espandersi
sentimenti inediti e contrastanti, in cui si sono a un tratto scoperte
la pesantezza, l’opacità e l’inerzia del mondo. Queste qualità hanno
avvolto le esistenze in nodi sempre più stretti, esercitando una forte
pressione. Hanno incurvato molte traiettorie di vita all’interno,
spingendole verso il basso, dove si fa più fatica a vedere, dove tutto
si chiude e si fa buio».
Il primo sguardo, in opposizione a quello «inesorabile della Medusa» di calviniana memoria che tutto pietrifica, va all’élan vital teorizzato da Henri Bergson. «È la forza di una immensa corrente di vita e di coscienza che cerca di superare se stessa, di dare più di ciò che ha, ricavando da sé più di quanto possieda - scrive Guanzini -. Benché molte volte tale corrente si infranga contro la roccia, almeno in una direzione riesce a farsi strada e a passare, per vedere finalmente la luce.
Il primo sguardo, in opposizione a quello «inesorabile della Medusa» di calviniana memoria che tutto pietrifica, va all’élan vital teorizzato da Henri Bergson. «È la forza di una immensa corrente di vita e di coscienza che cerca di superare se stessa, di dare più di ciò che ha, ricavando da sé più di quanto possieda - scrive Guanzini -. Benché molte volte tale corrente si infranga contro la roccia, almeno in una direzione riesce a farsi strada e a passare, per vedere finalmente la luce.
Lo sforzo è faticoso, perché deve
affrontare macigni: ma è anche molto prezioso, perché è ciò che porta
vita e consente nuovamente di amarla». È un’apertura alla vita che trova
nei giochi d’infanzia un esempio possibile, in una dimensione ludica in
cui «i bambini si rivelano soprattutto come figure di creatori e
artisti, (e che) ha un legame profondo con l’intelligenza biblica della
creazione». Alla nascita di un bambino - che è Dio ed è un neonato
vulnerabile - è associato simbolicamente anche l’inizio del
Cristianesimo: «Precisamente - sostiene la teologa - la nascita di un
piccolo – e di ogni piccolo – diviene promessa di qualcosa di grande,
capace di ridisegnare la geografia religiosa, affettiva, sociale e
politica di una intera cultura e di un secolare cammino di verità».
Isabella Guanzini Filosofia della gioia, Ponte alle Grazie, Milano 2021