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6. LA PRUDENZA DELLE AUTORITÀ ECCLESIASTICHE
di ERNESTO AYASSOT (continua)
Infatti la chiesa romana non si è mai fin qui pronunciata in modo ufficiale sull'autenticità della Sindone, come d'altronde per il più gran numero di reliquie la cui venerazione però incoraggia. Essa si è attenuta, anche in questo caso, alla prassi abituale di permettere, e spesso promuovere, le nuove devozioni o dottrine senza mai impegnarsi con un verdetto ufficiale fino al giorno in cui quelle devozioni o dottrine non siano diventate «patrimonio» comune della chiesa, essendosi ormai radicate nella religiosità del «Popolo di Dio» in modo tale che la somma autorità del Pontefice può pronunciarsi in modo definitivo, esplicitando e precisando ciò che, fino a quel momento, era stato per molto tempo, magari per secoli, implicito e indefinito.
Così è sempre successo per tutte le forme di venerazione che si sono introdotte nel corso dei secoli nella pietà cattolica e per tutte le nuove dottrine, le quali, prima di venir proclamate ufficialmente, hanno percorso un lungo iter, abilmente incoraggiato e pilotato dalle autorità gerarchiche, dai teologi, dagli ordini monastici ccc..., fino al momento in cui il Papa ha ritenuto che la preparazione fosse giunta a compimento e non rimanesse altro che porre il suggello di una dichiarazione ufficiale. Si procede così per tutte le beatificazioni e santificazioni, per tutte le devozioni particolari come quelle del «Sacro Cuore», del «rosario» ecc., fino alle decisioni più gravi come la proclamazione di nuovi dogmi. Ne abbiamo avuto un esempio recentissimo nella proclamazione del dogma della «assunzione» della Vergine Maria, la cui festa (della Assunzione - 15 agosto), le cui devozioni a Maria Assunta, erano state per lunghissimo tempo incoraggiate e promosse, in un continuo crescendo. I teologi mariologi ne avevano disquisito per secoli, la pietà popolare vi aveva intessuto sopra ogni sorta di devozioni, sempre più chiaramente incoraggiata dalla gerarchia, fino al giorno in cui dottrine e pratiche mariologiche giunsero a maturazione ed il Papa poté, senza incontrare troppa resistenza, proclamare il nuovo dogma, nel 1950. Lo stesso, almeno per la prima parte del processo, si è verificato, e continua a verificarsi, per la Sindone, per la quale, però, l'iter è iniziato molto tardi ed è continuato, e continua tuttora, incontrando difficoltà maggiori perché, sia fra i teologi che fra i credenti, sono oggi più numerosi che nei secoli passati coloro che ardiscono esercitare apertamente un senso critico nei confronti della chiesa romana e della sua gerarchia. Premono oggi nella chiesa romana problemi ben più gravi che quello della Sindone: l'atteggiamento assai indipendente di alcuni dei suoi massimi teologi, da una parte, e le contestazioni di gruppi di base, dall'altra, pongono oggi alla Chiesa romana problemi ben più gravi di quanto possa presentarne il dibattito sulla Sindone, per quanto questo cerchi di mantenersi in evidenza con scritti e congressi.
Le prime battaglie pro e contro il riconoscimento dell'autenticità della Sindone ebbero inizio nella seconda metà del secolo XIV, ossia abbastanza tardi rispetto al lungo periodo in cui della Sindone non si parlava affatto, per la semplice ragione che o non esisteva o non la si conosceva. Ovviamente i primi sostenitori furono i canonici di Lirey e Goffredo di Charny che detenevano la reliquia, ma che cozzarono subito contro l'opposizione dei loro vescovi e dello stesso papa di Avignone Clemente VII, al quale s'era fatto ricorso. Impossibile seguire in poche parole la lunga serie di polemiche che si scatenarono. Esposizioni della Sindone, con relativi pellegrinaggi, da parte dei canonici e proibizioni da parte del vescovo, intervento papale e appello all'autorità del re con minaccia da parte di quest'ultimo di sequestrare la reliquia (1389). Tutta una serie di misure e contromisure dettate spesso, più che da zelo per la verità, da rivalità tra conventi, diocesi, autorità civili e religiose, con un sottofondo di interessi economici per ciò che fruttavano i pellegrinaggi, le devozioni ecc... Finalmente Clemente VII pose fine alla battaglia permettendo l'ostensione della Sindone, concedendo indulgenze ai fedeli che si recassero a venerarla..., senza però pronunciarsi sulla sua autenticità, anzi chiamandola «figura» e «representacio» come l'aveva già definita in una ordinanza precedente nella quale aveva decretato chiaramente, ad evitare ogni «errore ed idolatria» che si doveva dire al popolo:
con voce alta e comprensibile, facendo cessare ogni frode, che la predetta immagine o rappresentazione non è il vero Sudario del nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o riproduzione, fatta ad immagine o rappresentazione del Sudario che si dice sia stato del medesimo nostro Signore Gesù Cristo23.
Ragione per la quale le «ostensioni» dovevano essere fatte in tono minore, sia per quanto concerneva i paramenti sacri, sia per le candele «che non devono affatto essere accese, né deve essere usata qualunque altra specie di illuminazione... ».
Dire e... non dire, concedere... ma riservarsi sempre una possibilità di poter affermare, in caso di necessità, che chi ha capito male è andato oltre alle intenzioni di chi aveva parlato. Ma ormai il processo verso la elevazione della Sindone agli altari era iniziato. Nei secoli successivi altri papi si pronunciarono, mantenendosi però sempre anch'essi, con dosata prudenza, tra il dire e il non dire. Nella seconda metà del sec. XV, papa Sisto IV (1471-1484), nel suo trattato De sanguine Christi, scriveva:
…sembra doverosa e degna cosa venerare e adorare anche la S. Sindone, in cui manifestamente si vedono le vestigia della umanità di Cristo...24.
Una trentina di anni più tardi Giulio II (1503-1513) emanava un Breve (1506), autorizzando per la città di Chambéry la celebrazione della messa in onore della Sindone e scriveva tra l'altro:
Sembra degno e doveroso doversi venerare e adorare la Sindone in cui Nostro Signore Gesù Cristo fu involto nel sepolcro e in cui manifestamente si vedono le vestigia dell'umanità di Cristo...25.
Già più esplicito del suo predecessore, come doveva essere più tardi, a metà del XVIII secolo, il suo successore Benedetto XIV, che concesse indulgenza plenaria il giorno della festa della Sindone (4 maggio) a quanti, «confessati e comunicati», visitassero la cappella di Torino. Più vicino a noi Pio IX (1859) concedeva:
Indulgenze di 100 giorni ogni volta che si recita la su riportata orazione [alla Sindone]. E indulgenza plenaria due volte all'anno a chi confessato e comunicato visiterà la Reale Cappella della SS. Sindone26.
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23 «Alta et intelligibili voce, omni fraude cessante, quod figura seu representacio predicta non est verum Sudarium Domini nostri Jhesu Christi, sed quedam pictura, seu tabula facta in figuram, seu representationem Sudari quod fore dicitur eiusdem Domini nostri Jhesu Christi». Ordinanza del 1390, cit. da U. CHEVALIER, Etude critique du saint Suaire de Lirey-Chambéry-Turin, Parigi, 1900, p. 35, riportata da T. SIGNORELLI, La Santa Sindone - studio critico-storico, Torino, 1933.
24 Cit. da TITO SIGNORELLI, op. cit. (alla nota 23), pp. 11-12.
25 Cit. da T. SIGNORELLI, op. cit., pp. 11-12.
26 Cit. da T. SIGNORELLI, op. cit., pp. 11-12.