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7. NÉ EVANGELICA NÉ EVANGELISTICA
di ERNESTO AYASSOT (continua)
Nessuno può prevedere, oggi, come e quando il processo sindonologico culminerà. Due cose sono comunque sicure:
1. Il culto della Sindone continuerà, e sarà vieppiù accentuato, finché il cattolicesimo romano rimarrà quello che è stato per secoli, e continua ad essere oggi, almeno nella sua ufficialità, ossia un cristianesimo che rifiuta di lasciarsi riformare dalla Parola di Dio.
2. Poiché è estremamente improbabile che si possa scoprire un qualche documento storico che attesti l'autenticità della Sindone, rimane la sola possibilità di una testimonianza, scientificamente accettabile, che dica qualcosa. Ma cosa? Al massimo che il telo è vecchio di circa 2.000 anni e che, in un passato lontano imprecisabile, è servito come lenzuolo funebre di un suppliziato. Ma tra le centinaia di migliaia di uomini, partigiani di una fede o di una patria, oppure briganti e malfattori, che furono ammazzati mediante la croce - supplizio assai comune all'epoca dei romani -, chi potrà mai provare che si tratta proprio di Gesù di Nazareth?
I sindonolatri affermano che la figura che si ricava, soprattutto dal volto che appare sulla Sindone, rivela tutti i tratti di santità, bellezza, austerità, perfezione ecc... che dovevano essere dell'uomo Gesù. Scrivono (come si esprime il prof. Cordiglia):
vediamo apparirci innanzi un uomo antropometricamente perfetto, straordinario in tutta la sua imponente bellezza, bellezza che traspare dalle morbide linee del volto30.
Ma chi ci dice che Gesù fosse proprio così, che fosse alto, come dalle misurazioni del medesimo professore, un metro e ottantuno, mentre i Vangeli non ci dicono nulla se non che era difficile riconoscerlo tra la folla e distinguerlo dai suoi discepoli, tanto che Giuda dovette abbracciarlo per farlo riconoscere e quando le profezie lo annunciavano come uno che «non aveva né forma né bellezza da attirare gli sguardi, né apparenza da farlo desiderare» (Isaia 53:2)?
A parte poi il carattere del tutto soggettivo, per cui si trova volentieri bello ciò che si ama, non è forse vero che il fascino che Gesù esercitava non veniva dalla sua prestanza fisica, ma dalla verità e dall'amore che lo Spirito del Padre aveva posto in lui, conferendogli quella «autorità» di cui stupivano anche i suoi avversari? Quello che interessa il credente non è di sapere se Gesù fosse alto o basso, biondo o bruno, bello o brutto, perché, come scriveva l'apostolo Paolo: «se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così» (II Cor. 5:16). Dicono inoltre i sindonolatri che la Sindone sarebbe una testimonianza delle sofferenze di Gesù, ma quello che ce ne dicono i Vangeli non è forse sufficiente, e per di più le vere sofferenze di Gesù furono proprio quelle fisiche o non piuttosto quelle morali e spirituali di chi aveva preso su di sé «il peccato del mondo»?
Si aggiunge ancora che la reliquia testimonierebbe della risurrezione di Cristo, se Egli poté misteriosamente uscire dall'involucro del lenzuolo senza guastarne le impronte..., ma il credente ha forse bisogno, come Tommaso, di vedere un problematico disegno per credere al Cristo risuscitato? Non disse forse Gesù stesso: «beati quelli che non hanno veduto e hanno creduto» (Giov. 20:29)?31.
Oltre a ciò è mai possibile che gli apostoli, avendo a portata di mano una testimonianza come quella, non se ne servissero mai e che mai, nemmeno una sola volta, nei loro scritti alludessero alla sua esistenza?
Ora, se per gli apostoli e per i primi evangelizzatori la Sindone non esisteva, o se esisteva - non serviva perché e come dovremmo trovarvi noi un motivo di «evangelizzazione» chiamandola addirittura «il quinto Vangelo»?
Comprendiamo benissimo che, in un mondo che si va sempre più scristianizzando, la chiesa romana senta il bisogno di ravvivare la fede dei suoi fedeli (quale chiesa non ne ha bisogno?), ma quello che non comprendiamo, e non condividiamo, è che si ricorra per questo a definizioni di nuove dottrine e alla promozione di nuove devozioni più o meno morbosamente sentimentali. La chiesa ed il mondo hanno bisogno di ben altro! Le devozioni per le «piaghe di Gesù», per «il Sacro Cuore trafitto», così come i grumi di «sangue dei Santi» e le «lacrime della Madonna» rischiano veramente di far credere al mondo che la chiesa continua a disquisire sul (sesso degli angeli in mezzo alle fiamme di un incendio che rischia di divorare la nostra civiltà. Se gli uomini hanno bisogno di giustizia, di pace, di libertà, cosa serve che gli si risponda con l'offerta di nuove devozioni?
C'è poi un altro aspetto della questione che ci turba come sintomo di una deviazione della testimonianza cristiana. Intendiamo dire quella specie di culto sentimentale della passione e della morte di Cristo, come di un fatto isolato, da contemplare nel passato. Sia ben chiaro che non neghiamo affatto né la storicità né il valore unico e salvifico della morte di Cristo. Ma non è forse dimenticare quello che Gesù stesso diceva: «quello che avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli l'avete fatto a me» (Matteo 25:40) e che pertanto il Cristo viene di nuovo crocifisso in tutto ciò che vien fatto soffrire, oggi ancora, a qualsiasi di questi «minimi», e che dobbiamo vedere il volto di Cristo, non su una tela, ma sulla faccia di ogni uomo che ha fame, che è vittima dell'ingiustizia, della violenza, e che la passione di Cristo si rinnova ogni volta che viene fatta soffrire una di quelle creature per le quali Egli ha sofferto ed è morto sulla croce?
C'è tutta una forma di religiosità che si impernia sul culto della morte, con la conservazione e venerazione di sangue, di lacrime, di ossa, di scheletri, manifestandosi in preghiere, indulgenze, devozioni ecc..., che ci appare molto distante dal messaggio del Nuovo Testamento che è virile affermazione di vita e che, pur conoscendo la tragica realtà della morte, sa che «Cristo ha distrutto la morte ed ha prodotto in luce, la vita e l'immortalità, mediante l'Evangelo» (II Timoteo 1:10). Mi viene di pensare, a questo proposito, alla risposta estremamente semplice, che un contadino valdese dava ad un turista che gli chiedeva perché non ci fosse il crocifisso nella sua chiesa: «perché Cristo è risuscitato».
Potremmo dire la stessa cosa per quel che concerne, la Sindone: la risurrezione di Cristo non si predica con delle impronte su di un telo, ma proclamando, con le parole e le opere, che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giov. 3:16
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30. In «Relazione della Comm. di esperti» cit.
31 Il cattolico N. Federico Reviglio - che difende la Sindone come «immagine del mistero della croce» - riconosce tuttavia che «sono fuori luogo i tentativi di usare la Sindone come prova della resurrezione o simili amenità teologiche. È piegare il lenzuolo antico a un ruolo che non è suo, rivolgendogli una domanda cui non può rispondere. Sarebbe un poco come cercare in Sismo che scuote le fondamenta della prigione di san Paolo – nelle "Stanze" di Raffaello - la spiegazione della misteriosa liberazione dell'apostolo dal carcere» (Icona del volto di Dio, «Il foglio», n. 63, aprile 1978).
(continua)