mercoledì 15 giugno 2022

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«OPERAZIONE SINDONE» di FRANCO BARBERO (continua)


In questo spirito di confronto e di dialogo vorrei esplicitare:

A) Che cos'e che ci fa problema, come cristiani di base, in questa ostensione della Sindone?

B) Quale concezione (e quale pratica) di chiesa stanno dietro a simili iniziative?

 

A) Che cos'è che ci fa problema, come cristiani di base, in questa ostensione della Sindone?

 

Non siamo certamente noi a negare o sminuire l'interesse storico che questa Sindone (ne esistono infatti altre) può avere. Semmai si conviene che ogni studio serio e libero non può non essere accolto con favore sul piano della documentazione scientifica.

Ma qui noi parliamo nel linguaggio della fede. Alla nostra fede in Cristo morto e risorto, il Vivente, non interessano le reliquie di nessun genere. Noi non portiamo nei secoli delle reliquie da mettere periodicamente in vetrina o da custodire con grande apparato tecnico4 in un museo, ma abbiamo da fare i conti con la storia di un vivente. La «memoria» biblica che soggiace alla nostra fede e la alimenta non ha niente a che fare con delie reliquie funebri. Siamo infatti una comunità che si fonda su quel Gesù Cristo, morto e risorto, che è il vivente oggi nella storia, in mezzo a noi: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Egli non si trova qui, ma è risuscitato! Ricordatevi che ve lo disse quando era ancora in Galilea» (Luca 24:5-6). Da quando egli ci ha detto «sappiate che io sarò sempre con voi, tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Matteo 28: 20), le reliquie appartengono al mondo del paganesimo e ci diventano superflue.

Diciamo questo non per disprezzo della fede altrui o per dileggio delle forme religiose che essa assume in simili casi, ma perché il Gesù che vive nel mondo e nella chiesa è una presenza che va cercata e anche difesa da ogni possibile contraffazione, da ogni infezione pagana. Credo che nelle comunità cristiane, senza affatto scomunicarci a vicenda (sarebbe assurdo farlo... in nome della Sindone!?), debba ancora crescere la salutare, anche se dura, franchezza di confrontarci e, talora, di resisterci a viso aperto quando si corre il rischio che venga offeso ed offuscato l'Evangelo. Il teologo Miguez Bonino ci ricorda con fermezza che, quando si tratta del volto del Dio di Gesù Cristo, «esiste una sorta di intransigenza cristiana indispensabile»5.

Se oggi come cristiani vogliamo cercare e incontrare Cristo e il suo volto sofferente, non dobbiamo cercare la mediazione di nessun lenzuolo funebre. Il Cristo soffre e muore (e risorge!) anche in questa città di Torino in modi molto concreti e cruenti. Anche a Torino la tragedia del Cristo è scritta a chiare lettere nella vita dei poveri, dei più tribolati, degli emarginati, dei disoccupati. Questi ultimi anni lo evidenziano in modo crescente con il fiume di disgregazione e di disperazione che invade la vita quotidiana. Cristo è lì, non nel lenzuolo6. Andiamo all'osso senza permetterci giri inutili, divagazioni devianti, diaframmi che non servono. Altrimenti ci rimane il sospetto che la chiesa ufficiale voglia "addolcirci", mediandolo con un lenzuolo, l'impatto con lo scandalo, la durezza e le scelte del Gesù di Nazareth. Davanti ad un lenzuolo ci si può anche limitare ad una ambigua, epidermica commozione tutta "spirituale"; davanti a Gesù e ai poveri occorre scegliere da che parte stare. È strano ma vero: sovente tra Gesù e i poveri la chiesa ufficiale ha interposto delle mediazioni che sono spesso diventate ostacoli e tradimenti. Nel Nuovo Testamento simili mediazioni trovano poco spazio, mentre nella chiesa sono una pratica costante. La politica delle mediazioni è sovente aperta a pratiche di potere e di manipolazioni che perseguono gli obiettivi della classe dominante. Il cristiano adulto, all'interno di un simile e costante confronto comunitario, si avvia a giudicare da sé, ad andare diritto al Padre, a operare le sue scelte, ad assumere le sue responsabilità, ad essenzializzare la sua fede senza lasciarsi prendere dal «giro devozionale», che sovente è un ingranaggio della produzione religiosa che la chiesa ufficiale prepara per incrementare certi consumi religiosi a scapito della riscoperta del messaggio salvifico e liberante dell'Evangelo. La riappropriazione del nostro essere chiesa comporta anche la necessità di vagliare rigorosamente se le espressioni della nostra fede rispondono ai criteri dell'Evangelo o alla logica di una istituzione religiosa.

La chiesa ufficiale crede di mettersi al riparo da queste osservazioni dicendo che nessuno ha inteso fare della Sindone un dogma, che esistono diverse sensibilità di fede, che occorre anche rispettare queste forme, ecc. Ma simili argomentazioni non convincono. A parte il fatto che in materia di tolleranza i vescovi italiani non hanno in maggioranza le carte in regola - perché ci sono sensibilità cristiane (e democristiane) che vengono largamente tollerate, incoraggiate, incentivate e benedette, ed altre che vengono sistematicamente sconfessate, emarginate, e colpite con precise sanzioni -, qui si tratta di una iniziativa di cui la curia torinese si è fatta animatrice e organizzatrice.

Inoltre queste «ragioni» non potrebbero anche essere la maniera elegante di eludere il problema nei suoi termini reali? Chi ad ogni passo ricorda il proprio ministero di pastore non può sottrarsi alla responsabilità di educare eventuali sensibilità devianti in seno alla comunità cristiana. Il rispetto delle diverse sensibilità non può diventare l'alibi per un pluralismo qualunquistico, ma deve piuttosto cercare le strade per un serrato confronto fraterno, evangelico delle diverse posizioni che si esprimono all'interno della chiesa. La carità fraterna è il criterio supremo anche nella pratica del rispetto delle diversità, ma se non vuole ridursi a parole, deve diventare correzione fraterna, volontà di ascoltarsi e di confrontarsi davanti all'Evangelo e sull'Evangelo.

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4 Scrive G. M. Ricciardi su «La Gazzetta del Popolo» del 14-3-1978: «In molti hanno cercato di rubarla. Imperatori, crociati, cavalieri del Santo Sepolcro, ricettatori internazionali, ladri e fanatici. La Sindone ha resistito a tutti. Indenne o quasi è sopravvissuta a circa duemila anni di storia. Ma solo da quando è a Torino si trova al sicuro. Chiusa in una teca di lastre d'acciaio che neppure la dinamite può scardinare, «assediata» da spranghe di ferro grosse come braccia, protetta da una barriera radar e da un sistema d'allarme direttamente collegato col centro operativo della questura, non teme incursioni» (Sacra Sindone: una reliquia ambita da principi, fanatici, ladri e nazisti, p. 5).

5 JOSÉ MIGUEZ BONINO, Uno spazio per essere uomini, Torino, Claudiana, 1977, p. 21.

6 Quando dico questo non pretendo di assolutizzare il «luogo» in cui Dio si manifesta perché lo Spirito soffia dove vuole e noi troppe volte, da parti diverse e opposte, pretendiamo di insegnargli la strada, di farlo prigioniero dei nostri schemi (si veda: CHRISTIAN DUQUOC, Un Dio diverso, Brescia, 1978). Semplicemente cerchiamo di prendere sul serio gli spazi «teofanici», cioè di rivelazione, che Dio ha prescelto nella persona di Gesù di Nazareth.


(continua)