Le purghe di Zelensky scuotono Kiev: cacciati giudici e capi dei servizi. Rimossi Bakanov e Venediktova oltre a 60 funzionari accusati di “alto tradimento”
DNIPRO - In piena guerra, nel momento più delicato
dell’assalto finale al Donbass, un vero terremoto politico scuote i centri del
potere a Kiev. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha silurato la
procuratrice generale, Irina Venediktova, e il capo dei servizi segreti, Ivan
Bakanov. Sono due tra le cariche apicali, più delicate per l’equilibrio dei
poteri e più indipendenti in un Paese in cui vige la legge marziale, e in cui i
media sono vincolati a un unico telegiornale nazionale a reti unificate. Per il
presidente era indispensabile agire subito: è in gioco «la sicurezza
nazionale», ha detto.
La notizia è ufficiale, i decreti di rimozione sono pubblicati sul sito della
Presidenza: «In conformità con la legge “sul regime legale della legge
marziale” decido di rimuovere Venediktova Irina Valentinovna dalla carica di
procuratore generale», scrive Zelensky. Al suo posto ha nominato Oleksiy
Yuryevich Symonenko. Con una decisione altrettanto sorprendente, «in conformità
con la Carta disciplinare delle forze armate» Zelensky rimuove il suo amico di
sempre, Ivan Gennadyevich Bakanov, «da presidente del servizio di sicurezza ».
Cioè da capo dei Servizi segreti, il potente Sbu. Zelensky ha spiegato così,
ieri sera, la decisione nei confronti di Venediktova, la celebre procuratrice
sul cui tavolo pesano i dossier sui crimini di guerra russi già costati la
testa all’ex ombudsman Lyudmila Denisova (accusata di inventarsi reati falsi e
inverosimili per appesantire quelli già di per sé enormi). «Ad oggi — dice —
sono stati registrati 651 procedimenti penali riguardanti alto tradimento e
attività di collaborazione di dipendenti di procure, organi di indagine
preliminare e altre forze dell’ordine. Più di 60 dipendenti della Procura e
della Sbu sono rimasti nel territorio occupato e stanno lavorando contro il
nostro Stato. Una tale serie di crimini contro le basi della sicurezza
nazionale dello Stato, e le connessioni registrate tra le forze di sicurezza
ucraine e i servizi speciali russi pongono domande molto serie ai leader interessati.
Ognuna di queste domande riceverà una risposta adeguata». Non è finita. Sempre
ieri il Servizio di sicurezza e l’Ufficio investigativo statale hanno arrestato
l’ex capo della Sbu in Crimea, Oleh Kulinich, già licenziato lo scorso marzo.
Sull’ufficio di Bakanov già da giorni volavano neri avvoltoi: i successi russi
della prima ora nel sud, e la leggerezza con cui non fu impedita la rapida
conquista di Kherson facendo saltare il ponte Antonovskiy sul fiume Dnepr,
aveva creato un muro tra lui ed il presidente, del quale era amico di infanzia,
ex manager e capo della campagna elettorale. Secondo Politico , che aveva
anticipato la possibile rimozione, Zelensky imputava la caduta della città
strategica e fedele a Kiev a decisioni assunte contravvenendo i suoi ordini. Il
generale Serhiy Kryvoruchko, capo dello Sbe di Kherson, ordinò ai suoi
ufficiali di evacuare prima che i russi lanciassero l’assalto. E il colonnello
Igor Sadokhin, suo assistente, avrebbe rivelato ai russi la mappa delle mine e
addirittura corretto le traiettorie di attacco aereo.
E intanto la guerra è in una fase delicatissima. La “pausa tecnica” è finita: i
russi si preparano all’attacco al cuore del Donbass, mentre Mosca minaccia
apertamente «la fine del mondo». Ad alzare il fuoco è ancora una volta l’ex
presidente russo Dmitry Medvedev, definendo «una minaccia sistemica» il rifiuto
di Nato e Ucraina di riconoscere la Crimea come russa. «Se un altro
nazionalista pazzo o un personaggio da operetta diventasse capo dello Stato in
Ucraina, dovremmo aspettarci un conflitto», dice Medvedev. E se Kiev attaccasse
la Crimea la risposta russa sarebbe «da fine del mondo, immediata e
inevitabile». Medvedev è «una piccola persona dimenticata dalla Storia che
cerca di mostrarsi minacciosa ma suscita solo pietà», replica il consigliere di
Zelensky, MikhailoPodolyak.