L'Espresso 3/7
Evelina Santangelo
Oggi
viviamo nel tempo in cui "tutte le opinioni sono vere" per dirla con il
sofista Protagora. La tecnologia con gli smartphone ha eliminato dalla
nostra quotidianità la fatica dell'apprendimento.
E in rete troviamo,
almeno in potenza, tutto lo scibile umano. Peccato che averlo
disposizione non significa affatto possederlo.
E
comunque quale migliore "illusione di sapere" che andare in giro con
tutto lo scibile umano in tasca? Fine della mediazione culturale, dei
maestri, della distinzione tra continua verifica e intrattenimento, tra
ozioso scorrere pagine digitali e ricerca a fini conoscitivi.
Sì, perché
sapere o conoscere non coincidono con l'accumulo illimitato di
informazioni come invita a fare la rete, da consultare rapsodicamente
senza un metodo, un'ipotesi da verificare, un senso da ricercare.
Eppure
viviamo in un'epoca in cui districarsi nel mondo, averne una concezione,
oltretutto condivisa, è diventato impossibile.
O comunque necessita di
un sapere non illimitato, ma vasto, aperto, fondato su sinergie di
saperi, su comunità scientifiche che si verificano vicendevolmente,
consapevoli dei limiti, dei margini di errore, della capacità mimetica
dell'impostura tra le imperanti falsificazioni. Invece sperimentiamo un
dilettantismo di massa che proprio perché fragile cerca alleati e
credibilità nella ripetizione ossessiva come fosse un mantra.
Un
surrogato di sapere che si avvale anche di una buona dose di violenza
perché, non avendo senso del limite, si crede indiscutibile, assoluto,
potente, garantito dalla quantità di fedeli.