- 16 -
SENZA CHIEDERE IL PERMESSO
di Franco Barbero
Questa serata si collega idealmente non soltanto a quanto veniva ricordato nella presentazione, ma anche all'impegno che, nei giomi del Gay Pride del luglio scorso, assumemmo come comunità cristiana di base e come associazione Viottoli di proseguire la riflessione nella nostra realtà locale.
Perché questa assemblea pubblica?
Perché questa assemblea pubblica indetta da una comunità cristiana? Perché come uomini e donne, come cristiani/e, in forza della nostra umanità e della nostra fede, siamo convinti/e che ognuno/a abbia il diritto di essere se stesso/a nella pace, nell'amore e nella libertà, qualunque sia la sua identità affettiva e sessuale, culturale, religiosa, etnica.
Qui in particolare vogliamo, nel contesto di tutte le lotte per i diritti civili, "partire dal riconoscimento del diritto di identità sessuale come momento costitutivo della personalità", come dice Stefano Rodotà, sapendo che dire e vivere queste cose "è una buona azione civile in una situazione che non è per niente civile" (1).
La bellezza della nostra fede ci orienta a lavorare per una chiesa plurale in cui non sia permessa nessuna dittatura teologica né alcuna prassi ecclesiastica che impediscano alle comunità e alle singole persone, nel confronto costante tra esperienze e voci diverse, di esprimersi liberamente. La libertà gioiosa e responsabile dei figli e delle figlie di Dio rappresenta un connotato essenziale della nostra fede.
Ora nelle chiese cristiane, senza per nulla coltivare illusioni, è in atto un cammino irreversibile di cui sono protagonisti i gay e le lesbiche credenti. Il vento di Dio non può essere fermato né da documenti colpevolizzanti né da interventi repressivi.
Anche se il papa ha visto una "profanazione" nel Gay Pride e monsignor Maggiolini un "marciume"(La Repubblica, 11 luglio 2000, pag. 17), anche se il cardinale Sodano in questi giorni lo ha definito una "macchia sul Giubileo", quell'evento ha scatenato libertà e coraggio in tante persone, ha creato comunione profonda e visibilità reale.
Detto senza ombra di polemica, non poteva essere più grave il commento dell'arcivescovo di Torino, all'inizio degli incontri su "religioni e omosessualità" organizzati nel Comune di Torino dal gruppo consiliare Verdi: "La questione riguarda una minoranza; parlarne è in un certo senso reclamizzare un problema che andrebbe circoscritto" (La Stampa, 12 gennaio 2001).
Noi ci muoviamo in direzione diversa. ll discorso pubblico, aperto, esplicito e motivato ha in sé una portata positiva, conferisce dignità, favorisce le persone e l'affermazione dei diritti.
È tempo infatti di dire apertamente che l'inconciliabilità tra esperienza omosessuale e lesbica e vita autenticamente cristiana è un pregiudizio, un oltraggio alle persone, una affermazione teologica che si può motivatamente e tranquillamente contrastare e rifiutare, una discriminazione inaccettabile, una bruttificazione della fede.
Molti gay e molte lesbiche sono cristiani e cattolici ne più né meno degli eterosessuali, possono vivere il loro amore senza sensi di colpa e partecipare a pieno titolo a tutta la vita della comunità cristiana. E voglio aggiungere che le lesbiche ed i gay, qualora lo desiderino e lo richiedano per motivi di fede, hanno il diritto di celebrare festosamente la loro unione d'amore nella comunità cristiana (Se non è ius conditum è ius condendum). La comunità cristiana di base di Pinerolo e altre comunità cristiane non vedono in questa scelta nulla di straordinario o di contrario all' evangelo di Gesù e continueranno a farlo nelle modalità concordate con i/le celebranti. In questi anni sarà fondamentale la dimensione ecumenica, interreligiosa delle nostre ricerche e delle nostre prassi (2).
"Ci sarà una strada" (Isaia 19)
Uscire dalla comoda terra di nessuno e investire con coraggio nella speranza e nella lotta, con amore nonviolento, è il cammino in cui non possiamo perdere tempo nel leccarci le ferite o nelle sterili polemiche. Le strade si aprono e si percorrono solo insieme: credenti, non credenti, gay, lesbiche, eterosessuali, transessuali e quanti altri/e credono nell'amore e nella libertà che è fatta di convivialità delle differenze.
Mi risuona alla mente un passo biblico del profeta Isaia che da molti anni mi scalda il cuore e inumidisce i miei occhi di commozione ogni volta che lo rileggo:
"In quel giorno ci sarà una strada dall'Egitto verso l'Assiria,
l'Assiro andrà in Egitto e l'Egiziano in Assiria;
gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri.
In quel giorno Israele sarà il terzo con l'Egitto e l'Assiria,
una benedizione in mezzo alla terra.
Li benedirà il Signore delle schiere angeliche:
"Benedetto sia l'Egiziano, mio popolo,
l'Assiro, opera delle mie mani,
e Israele, mia eredità " (Isaia 19, 23-25).
Pensate: siamo ad alcuni secoli avanti Cristo. Qui vengono citati, dall'appassionato profeta di Israele, tre irriducibili nemici: l'Egitto, l'Assiria e Israele. Ma che cosa esprime questo passo?
Si annuncia un tempo in cui anche questi acerrimi nemici si cercheranno nella pace: uno prenderà la strada che porta all'altro, senza rinunciare ad essere se stesso. In questo modo diventeranno una benedizione sulla terra perché l'Egitto è "mio popolo", l'Assiria "opera delle mie mani", Israele "mia eredità". Mi viene in mente la novella dei tre anelli di Boccaccio.
Il paradosso è davvero provocatorio: se si accordano i più scatenati nemici, come possiamo noi - che siamo tutti e tutte semplicemente uomini e donne e, nel linguaggio della fede, creature - non trovare la strada?
Forse che, nel cammino della vita, gay, lesbiche ed eterosessuali non cerchiamo gli stessi sentieri di amore, di giustizia, di tenerezza, di felicità? Non cerchiamo forse tutti/e un mondo dove ci si accolga gli uni le altre, dove ci sia più "posto" per ogni persona e meno egoismo?
(continua)