La misura dell’umanità
Scrivo prima delle elezioni. ma anche dopo dovremo chiederci perché una classe politica di vista corta non si è confrontata su guerra e pace. La questione della pace include tutte le altre: giustizia, economia, povertà, ambiente, lavoro, salute. Relazioni internazionali, scuola e istruzione, informazione, libertà... Agli elettori sono proposti temi secondari, più di quelli sulla vita giusta. Il potere si avvale della distrazione del popolo. Un premier decade per una imprudenza nel lockdown, ma non se organizza una strage di civili: la guerra non è altro. Condanniamo la violenza maschile domestica, ma il femminismo non combatte altrettanto la violenza militare, impregnata di machismo.
Le voci allineate accusano i «pacifisti» di illusione e tradimento. Esse vedono solo armi contro armi: sono intrappolate nell’ideologia della guerra regina della storia. Ma la riflessione morale ormai esclude la guerra «giusta», perché è capace e pronta all'olocausto nucleare.
I pacifisti emotivi aborrono la guerra, ma non sanno come superarla, perché non conoscono la forza nonviolenta. Solo i movimenti della storica profonda cultura di pace positiva conoscono le esperienze e le possibilità della forza umana nonviolenta e coraggiosa.
La nostra Repubblica democratica è pur sempre uno stato armato, come quasi tutti (salvo il Costarica). Chi porta un'arma è disposto ad uccidere, è moralmente omicida. Mi dispiace per l'Italia. L’armamento statale non è una fatale necessità, ma una malattia curabile: una società più evoluta supererà la mitologia delle armi. Pur con armi limitate per fermare la criminalità, dovremo emanciparci dalla vergogna dei rapporti armati tra i popoli. È detto: «I miti erediteranno la terra». A cominciare dalle coscienze personali che rifiutano il «servizio» alle armi, capaci solo di uccidere.
Una società neutrale e non armista non «abbaia» eccitando paure e volontà di potenza: «Se ci aggredite, non vi faremo guerra, ma neppure subiremo il vostro dominio: troverete la totale non-collaborazione, la resistenza popolare nonviolenta, l'isolamento, la disobbedienza che frustra ogni dominio. Il dominio esiste se è obbedito, e si svuota se disobbedito e boicottato. Potrete punirci, ma avrete bisogno di noi, e noi vi guarderemo con dignità indomabile». Chi pensa e coltiva la nonviolenza attiva e forte, chi la impara dalle molte efficaci esperienze storiche, non si rassegna a subire violenza. Patire non è subire. Il soldato, invece, uccide e muore, pure ingannato dalla falsa gloria del morire uccidendo. È vero: sono stati sterminati interi popoli, per esempio dal colonialismo europeo. Ma è pur vero che lo spirito, le tecniche e le esperienze di lotta giusta non armata, sono cresciute dallo stimolo profondo di Gandhi: oggi sono storia documentata, più efficaci delle difese armate. È stoltezza politica ignorarle. Cito un solo esempio meno noto nel mondo: le donne di Carrara, nel luglio 1944, in massa, davanti alle armi naziste, opposero disobbedienza coraggiosa ed efficace all'ordine di sgombero della città. Con conoscenza e volontà, si può difendere il diritto senza le armi, immenso spreco di vita, veleno della convivenza, minaccia totale dell'esistenza.
La razionalità politica dovrà arrivare al vero ripudio costituzionale della guerra. È necessaria una cultura etico-politica di pace, per gestire i conflitti in modo radicalmente alternativo: con strategie non distruttive; col rifiuto di uccidere persone, sempre criminale.
È necessario formare i «corpi civili di pace», istituzioni pubbliche di volontari e volontarie, preparati alla intermediazione nei conflitti, alla solidarietà e soccorso alle popolazioni resistenti, alla interposizione tra gruppi in guerra.
Ogni conflitto va sottoposto agli obblighi dell'Onu, che, a nome dell'unica Umanità, vuole «salvare le future generazioni dal flagello della guerra». L’abolizione legale e politica della guerra è il passo di umanizzazione richiesto alle nostre generazioni e alla politica odierna, con fiducia e volontà. L’umanità seppe abolire i sacrifici umani, ma uno è rimasto, feroce: la guerra. L’abolizione della guerra è oggi la misura della nostra umanità.
Enrico Peyretti, Rocca 1 ottobre