Cappato si autodenuncia. E chiede aiuto: «Da solo non riesco ad esaudire tutti»
ELEONORA MARTINI
L'auto speciale per disabili che ha trasportato da Peschiera Borromeo ad una clinica Svizzera il signor Romano, l'82enne affetto da una grave forma di Parkinson che venerdì si è sottoposto al suicidio assistito nel Paese elvetico, l'ha guidata Marco Cappato. Lo ha contato lui stesso, il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, ai Carabinieri nella caserma di Milano dove è andato ad autodenunciarsi ieri. Per il signor Romano, ha sottolineato Cappato, quel viaggio è stato un'«agonia» lunga cinque ore.
«L'auto -ha raccontato - mi è stata fornita da Felicetta Maltese, punto di riferimento della campagna referendaria a Firenze. Grazie a questa autovettura, che mi è stata portata da Reggio Emilia a Milano, sono andato a prendere Romano, l'ho caricato e ho fissato la carrozzina. La moglie di Romano - ha aggiunto - è salita in macchina con me. Non poteva fare altrimenti perché Romano aveva bisogno di continua assistenza. Per Romano ogni sillaba costava una fatica mostruosa. Mi ha ringraziato più di una volta e mi ha chiesto di mettere musica classica durante il viaggio».
Spiega l'avvocata Filomena Gallo, segretaria dell'associazione Coscioni, che le condizioni del signor Romano - che non era ancora dipendente da alcun «trattamento di sostegno vitale», così come non lo era la 69enne veneta Elena Altamira, malata terminale di cancro suicidatasi in Svizzera la scorsa estate sempre con l'aiuto di Cappato, che per questo è indagato - escludevano l'anziano signore dai casi in cui il suicidio assistito è legale in Italia dopo la sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato-Dj Fabo. Eppure c'erano tutte le altre condizioni imposte dalla Consulta: una malattia «fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche» e una piena capacità del paziente «di prendere decisioni libere e consapevoli». La discriminazione che viene così messa in atto tra malati, così come la «tortura» di costringere le persone a dover morire distanti dal proprio letto, sono -afferma Cappato - «la condizione di oggettiva violenza dello Stato.
D'altra parte ha riferito ancora il dirigente radicale, «sono sempre di più le persone che si rivolgono a noi. Tanto che «devo chiedere aiuto», afferma. «Questo non è problema che si può nascondere sotto il tappeto, ma è sempre più un problema urgente. Devo chiedere aiuto. Spero che ci siano altre persone pronte ad assumersi questa responsabilità. Non posso farmi carico da solo. È un invito esplicito ad aiutarci con tutti i modi possibili» in questa operazione di «disobbedienza civile». A dicembre, per esempio, l'associazione Soccorso civile, un'altra delle organizzazioni di cui Cappato è responsabile, aiuterà un'altra persona malata a raggiungere il Paese elvetico dove ha già un «appuntamento» per il suicidio medicalmente assistito.
E dalla politica italiana invece nessun aiuto per questi malati. «Tutti zitti - accusa Cappato - mi dispiace per loro, perché queste vicende sono reali e sarebbero occasione di riflessione e di parola ovviamente anche per chi è contro le soluzioni che noi proponiamo. «Noi non chiediamo impunità, non stiamo chiedendo di chiudere un occhio, stiamo chiedendo allo Stato italiano di assumersi le proprie responsabilità. Non è una provocazione, è un’autodenuncia».
Il Manifesto 27 novembre