giovedì 1 dicembre 2022

IL SENSO DEL RINGRAZIAMENTO

DI ARIANNA FARINELLI

La Repubblica 25/11

La mattina del giorno del Ringraziamento iniziamo a cucinare appena svegli. Il tacchino, allevato dagli Amish della Pennsylvania, ci è stato consegnato la sera prima. La festa inizia così, cucinando insieme. 
 Prepariamo tutti i piatti tradizionali: la salsa di cranberry cotta nello zucchero e nel succo d’arancia; il ripieno cucinato con le castagne, le mele verdi, la salsiccia, il pane e il brodo; il purè di patate dolci; i cavoletti di Bruxelles ripassati con le mandorle e l’uva passa; il pane di mais e la torta di zucca. 
Il Ringraziamento non è solo una festa di sapori ma è una festa di colori: il rosso deicranberry, l’arancione della zucca e delle patate dolci, il giallo delle castagne e del granturco, il verde dei cavoletti. Poi c’è il tacchino. Riempiamo la cavità con il timo, il rosmarino, la salvia e le mele. 
Tutto intorno sedano e cipolle. Cuocerà per tre ore e mezzo e la casa prenderà un odore di buono, di tradizione.
Negli anni ho imparato ad amare questa festa che non è la mia e con la quale non sono cresciuta. Ricordo che quando i miei figli erano più piccoli, dopo aver messo il tacchino in forno, scendevamo in strada per vedere la famosa parata dei grandi magazzini Macy’s: la banda, i ballerini, i palloni colorati con i personaggi dei cartoni animati e Babbo Natale che arrivava alla fine sulla slitta trainata dalle renne. 
Il Ringraziamento è la festa della famiglia per antonomasia. Il Natale è soprattutto la festa dei cristiani ma qui a New York, dove si contano centinaia di lingue ed etnie diverse e decine di affiliazioni religiose, questa è la festa di tutti. 
La mia vicina di casa, che è direttrice d’orchestra alla Scuola di Musica Juilliard, quest’anno dirige il coro della parata. Mi ha detto che si preparano dalla primavera scorsa per un quarto d’ora di musica mandato in diretta tv in tutto il Paese. Al suo ritorno troverà un pasto caldo. 
Le lascerò parte del nostro pranzo del Ringraziamento di fronte alla porta di casa. Credo sia questo il senso della festa, il ritrovarsi, il dire grazie insieme. In questa città dove quasi nessuno ha famiglia — un terzo degli abitanti di New York non è nato negli Stati Uniti — gli amici e i vicini di casa diventano la tua famiglia.
 Negli anni si sono seduti a tavola con noi amici di ogni religione e provenienza, persone di passaggio, sconosciuti che altrimenti avrebbero passato la festa da soli, colleghi e conoscenti di amici. Quest’anno, poi, mi sembra di sentire questa festa più che in passato. 
Sarà che mio figlio ha compiuto 18 anni ed è andato a vivere nel campus dell’università. 
Sarà che in Europa c’è la guerra, che il Covid non è andato mai via e qui fa ancora 300 morti al giorno. 
Sarà che con la crisi economica, la povertà, che è il male cronico di questa città, morde ancora di più. 
Sarà che con il passare degli anni questi riti laici ci fanno tenerezza, diventano parte di noi, mentre quando eravamo giovani ci sembravano cose antiquate, senza significato. Anni fa, durante il dottorato di ricerca a Boston, digiunai il giorno del Ringraziamento in solidarietà con i nativi americani decimati dall’arrivo degli europei nel 1600. 
Ricordo che allora frasi come “Dio benedica l’America” mi suscitavano profonda irritazione, come se stessero a significare che Dio benediva solo questo popolo. Negli anni il fervore politico non si è attenuato ma tutto è stato messo in prospettiva. 
Questo Paese, che amo come quello in cui sono nata, più che mai oggi ha bisogno di ritrovarsi e di dire grazie. Siamo un popolo profondamente diviso.
 Lo scempio di quasi due anni fa, con l’assalto al Campidoglio, ci ha dilaniato. 
La morte di George Floyd è riuscita a unirci ma solo brevemente — ci siamo divisi subito dopo anche su quella. Una parte del Paese non riconosce il presidente eletto, un’altra mette al bando i libri letti da sempre dagli studenti di tutte le scuole. 
In alcuni Stati le donne hanno perso diritti acquisiti cinquant’anni prima e le famiglie sono talmente divise su questioni politiche che non si siedono più a mangiare insieme.
Ecco, forse un po’ ingenuamente e forse perché invecchio anch’io, quello che chiedo nella mia preghiera laica del giorno del Ringraziamento è un po’ di pace. 
Chiedo di ritrovare la strada che un tempo abbiamo percorso insieme. È il perdono che chiedo, la fratellanza che non abbiamo mai conosciuto. E se questo è troppo, chiedo almeno un gesto, una parola gentile, un sorriso, un augurio. Questo è il mio ringraziamento, dunque.