Stefania Rossini
L'Espresso 4/12
Un
sentimento potente si va insinuando nella confusione di una scena
pubblica affollata di idee deboli e proposte incerte: la nostalgia. È un
sentimento che ha tante facce: nostalgia di casa per i milioni di
persone che hanno lasciato la loro terra in cerca di una vita migliore;
nostalgia di sicurezza per coloro che proprio da questi si sentono
minacciati; nostalgia di un progresso economico che si immaginava
garantito a tutti, ma anche, e forse soprattutto, nostalgia di una
politica in cui credere e riconoscersi.Si sente crescere la fatica di
vivere e si pensa che tornare indietro sarebbe il modo migliore per
andare avanti.Vengono rimpianti così uomini e idee di tempi conclusi:
Moro, Berlinguer, persino Craxi e Andreotti, con l'utile dimenticanza di
scandali e ombre per non compromettere apologie tardive.E si guardano i
nuovi politici con la diffidenza che in verità si meritano, soprattutto
quelli che a lungo nostalgici di un'epoca tragica, cercano voce di
mostrarsi liberi dall'imprinting del fascismo.
Esercizio
inutile, perché la nostalgia ai nostri giorni è un impulso scomposto
che invade la comunicazione, inondando la rete di parole pronunciate nel
passato o anche strumento di personaggi come Trump che l'hanno
sfruttata per vendere un passato mai esistito.E' quindi un sollievo che
la nostalgia sia centrale anche nelle arti, con grandi film del passato
come "Nuovo cinema Paradiso" o il recentissimo "Nostalgia" di Martone e
che si sia sottoposta per secoli al trattamento di poeti e scrittori,
diventando rimembranza per Leopardi, splean per Baudelaire, nostalgia
del futuro per Musil.Tra il passato idealizzato e un futuro minaccioso
manca però un protagonista centrale: il presente.
Non
piace a nessuno perché ha annientato il vecchio e l'ha sostituito con
il peggio.Anche se forse è proprio quella del presente la nostalgia più
dolorosa.