domenica 15 gennaio 2023

LEONARDO BOFF: TEOLOGO DELLA LIBERAZIONE CONDANNATO DA RATZINGER

 Parla il teologo processato e condannato ds Ratzinger nel 1984. 

Con lui condannata tutta miglior teologia

9- Boff:"quella porta sbattuta in faccia alla modernità intervista di Claudia Fanti sul Manifesto del 6 gennaio 2023

Era il 7 settembre del 1984 e Leonardo Boff sedeva come im­putato dinanzi al prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede Joseph Ratzinger, in quello che appariva a tutti gli ef­fetti come un moderno proces­so per eresia. Sotto accusa c'era il suo libro "Chiesa: carisma e pote­re", di cui l'ex Sant'uffìzio aveva evidenziato aspetti «tali da met­tere in pericolo la sana dottrina della fede».

Ma nel mirino del Vaticano non c'era solo un libro: c'era piuttosto quella Teologia della Liberazione (TdL), che, nata dal­la realtà dei poveri (interpretata con l'ausilio delle scienze sociali e dell'analisi marxiana della sto­ria) e diretta alla loro liberazio­ne, aveva subito messo in allar­me i centri più sensibili del pote­re politico e religioso.

Sarebbe stato - aveva garantito Ratzinger - un «colloquio tra fratelli» con gli occhi del mondo puntati su Roma non era il caso di evocare immagini inquisitoriali; ma l'esito era già scritto. L'anno successivo Boff sarebbe stato punito con l'obbligo del silenzio ossequioso. E nel 992, in seguito alla minaccia di ulteriori provvedimenti disciplinari, avrebbe abbandonao l'Ordine dei Francescani e rinunciato al sacerdozio, pur continuando infaticabilmente a svolgere la sua attività di teologo della liberazione. Oggi, di fronte alla'morte del suo persecutore, dice di non provare alcun risentimento, evidenziando solo la necessità di una «lettura oggettiva» del pensiero e ell'azione di Ratzinger.

Per Benedetto XVI sono state spese grandi parole di elogio. Lei che, insieme a tanti altri, ha pagato di persona la persecuzione vaticana, come reagisce di fronte ai commenti di questi giorni?

E' normale parlare bene dei morti, soprattutto se si tratta di un papa. Tuttavia, la teologia, non potendo sottrarsi a una lettura oggettiva e critica, deve avere il coraggio di mostrare anche le ombre di Benedetto XVI. Era un teologo progressista e stimato quando insegnava in Germania. Poi si era lasciato contamina­re dal virus conservatore della millenaria istituzione ecclesia­stica, fino ad abbracciare, in al­cuni aspetti, posizioni reaziona­rie e fondamentaliste. Basti pen­sare alla dichiarazione Dominus Iesus del 2000, nella quale ri­lanciava la vecchia tesi medieva­le, superata dal Vaticano II, se­condo cui "fuori dalla Chiesa non c'è salvezza": Cristo è l'uni­ca via di salvezza e la Chiesa è il pedaggio esclusivo. Nessuno percorrerà il cammino se prima non pagherà il pedaggio.

Quan­to alle Chiese non cattoliche, non sarebbero secondo Ratzinger «Chiese in senso proprio», ma solo «comunità se­parate». Una porta sbattuta in faccia all'ecumenismo. Il suo so­gno era quello di una rievange­lizzazione dell'Europa sotto la guida della Chiesa cattolica. Un progetto risibile e impraticabi­le, dovendo fare piazza pulita di tutte le conquiste della modernità. Ma Ratzinger era un rappre­sentante della vecchia cristiani­tà medievale.

C'è stata poi la condanna della Teologia della Liberazione. Per noi teologi latinoamericani è stata una grande ferita il fatto che egli avesse proibito a decine di teologi e teologhe di tutto il continente di produrre una col­lana di 53 volumi, dal titolo Teo­logia della Liberazione, come sussidio per studenti, comunità di base e operatori di pastorale impegnati nella prospettiva dei poveri. Era chiaro che egli non volesse saperne di una teologia elaborata a partire dalle perife­rie. Per i poveri fu uno scandalo, per noi teologi, appoggiati da centinaia di vescovi, un'umilia­zione.

Ratzinger ha pubblicato due Istruzioni sulla TdL. La prima molto dura, nel 1984. La secon­da, due anni dopo, dai toni più morbidi, scritta sotto la pressio­ne dei cardinali brasiliani Arns e Lorscheider.

Ed è proprio nel 1984 che lei ha subito il proces­so davanti alla Congregazione della Dottrina della fede.

Il processo si concluse con l'im­posizione di un "silenzio osse­quioso", un eufemismo per indi­care il divieto di parlare, di inse­gnare, di svolgere qualsiasi atti­vità teologica. Ma non provo al­cun risentimento ripensando a quei giorni turbolenti: il fatto di aver abbracciato la causa dei po­veri, i prediletti del Gesù stori­co, mi faceva sentire sicuro. Inol­tre quel processo, seguito dai mezzi di comunicazione di tut­to il mondo, aveva offerto un'e­norme opportunità per far cono­scere la TdL. Tutti compresero che in gioco non c'era solo una teologia, ma la posizione della Chiesa dinanzi al dramma dei poveri e degli oppressi. Con la censura e la persecuzione di tan­ti teologi, da Gustavo Gutiérrez a Jon Sobrino, Ratzinger non ha offerto un buon esempio: non ha ascoltato il clamore dei pove­ri, ha condannato i loro amici e alleati e ha frainteso la TdL. Guai a chi non si colloca al lato dei poveri, perché saranno loro a giudicarci.

Cosa ha comportato questo fraintendimento?

Il mancato appoggio di Ratzin­ger alla TdL ha fatto vacillare molti cristiani. Tanto più in quanto ai teologi nella linea del­la liberazione era vietato offrire consulenze pastorali ai vescovi e persino accompagnare le co­munità di base. È stata negata lo­ro la gioia di lavorare nella pa­storale e di insegnare teologia. Ratzinger è stato un fattore di di­visione all'interno della nostra Chiesa latinoamericana. Come valuta il suo pontificato? Benedetto XI ha dato continuità all'inverno ecclesiale avviato da Giovanni Paolo II con l'abbando­no delle riforme del Concilio. Con il «ritorno alla grande disci­plina» da lui promosso ha persi­no accentuato questa tendenza. Basti pensare alla reintroduzio­ne della messa in latino. Ha con­cepito la Chiesa come un castel­lo fortificato contro gli errori della modernità, dal relativi­smo al marxismo fino alla perdi­ta della memoria di Dio nella so­cietà. Ha posto al centro la Veri­tà, con la sua difesa dell'ortodos­sia. Privo di capacità di governo, ha seminato nella Chiesa più paura che gioia, più controllo che libertà. Era una persona affa­bile e delicata, ma senza il cari­sma del suo predecessore. Tutta­via, per le sue virtù personali e la sofferenza che ha patito, sono certo che verrà accolto tra i beati.

Come ha interpretato la sua ri­nuncia?

Aveva preso coscienza degli scandali sessuali e finanziari nel­la Chiesa, ma sentiva di non ave­re le forze per modificare la si­tuazione. Serviva un altro papa più di polso. Non si trattava di problemi di salute, ma del fatto che si sentiva psicologicamen­te, mentalmente e spiritualmen­te impotente.

Tratto dalla rassegna stampa di Alfredo Giusti