Davvero  Joseph Ratzinger santo subito?        
  10-01-2023 -Tomaso Montanari
Volerelaluna
  
  Davvero Joseph Ratzinger santo subito? Più che l'invocazione da stadio  dell'anonima folla, a colpire è la genuflessione pressoché generale della  stampa italiana (che peraltro ne pronuncia il nome immancabilmente  all'inglese…). Se non difetta la morbosa attrazione per lo scandalo (meglio se  sessuale), sembra invece perduta una vera capacità di lettura critica: un  racconto che non sia encomiastico, una cronaca che non faccia del defunto (già)  pontefice una specie di Elisabetta II in salsa italiana, con il suo corteggio  di re e regine, pinocchi e fatine, monsignori sdraiati sulla bara e regolamenti  di conti via instant book…
  Innanzitutto, sembra smarrita una visione sanamente disincantata dei sistemi di  potere in generale, e della Curia romana in particolare. Mio padre,  profondamente cristiano e cattolico, mi ha sempre detto, con amara ironia, che,  al posto di quella di Longino, nella crociera di San Pietro si sarebbe dovuta  scolpire la statua monumentale di Abraam giudeo. Questi, protagonista di una  delle novelle del Decameron di Boccaccio, è un ebreo parigino che comunica ai  suoi amici cristiani che si sarebbe convertito alla fede in Cristo, ma solo  dopo aver visitato appunto la Curia papale. Grande lo sconcerto degli amici:  ben sapendo, dal papa in giù, «generalmente tutti disonestissimamente peccare  in lussuria, e non solo nella naturale ma ancora nella soddomitica, senza freno  alcuno di rimordimento o di vergogna, intanto che la potenza delle meretrici e  de' garzoni in impetrare qualunque gran cosa non v'era di piccol potere. Oltre  a questo, universalmente golosi, bevitori, ubriachi e più al ventre serventi a  guisa d'animali bruti, appresso alla lussuria, che ad altro gli conobbe  apertamente; e, più avanti guardando, intanto tutti avari e cupidi di denari  gli vide, che parimente l'uman sangue, anzi il cristiano, e le divine cose … a  denari e vendevano e comperavano». Abraam constata puntualmente come tutto ciò  sia verissimo, concludendo che il papa, «e per conseguente tutti gli altri, si  procaccino di riducere a nulla, e di cacciare dal mondo, la cristiana  religione». Ma, proprio per questo si converte: «mi par discerner lo Spirito  Santo esser d'essa, sì come di vera e di santa più che alcuna altra, fondamento  e sostegno». In altre parole, se la Chiesa si reggeva nonostante tutta quella  bassezza e corruzione, doveva proprio essere assistita dall'Alto!
  L'amara ironia di Boccaccio riassume bene il disincanto che i cattolici più  legati al Vangelo hanno sempre provato nei confronti di un formidabile sistema  di potere tenuto in piedi in nome di Colui che ha contestato nel modo più  radicale i meccanismi infernali di ogni umano potere. E forse oggi spetterebbe  proprio a noi cattolici una critica sostanziale della figura di Joseph  Ratzinger, fermi ovviamente restando il profondo rispetto per la persona e una  ininterrotta preghiera per la sua anima.
  Dal campo laico, sull'asserita grandezza del filosofo e del teologo (presentato  dai giornali come una specie di somma di Agostino e dell'Aquinate…) aveva già  detto parole coraggiose Umberto Eco nel 2011 («Non credo che Ratzinger sia un  grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato  come tale. Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio  avviso, semplicemente molto grossolane nemmeno uno studente della scuola  dell'obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione filosofica è  estremamente debole»). Sulla serietà dello studioso ha scritto in questi giorni  Silvia Ronchey, ricordando l'uso non solo strumentale, ma filologicamente e  storicamente errato, delle parole di Manuele Paleologo su Maometto citate nel  famigerato, e distruttivo, discorso di Ratisbona (costato qualche vita umana…).  Del resto, colpisce la beatificazione culturale da parte degli atei devoti di  colui che ha diretto l'organo deputato alla repressione della libertà di  pensiero nella Chiesa, quel Sant'Uffizio (diverso ora solo nel nome, non già  nella missione) che, immancabilmente vituperato quando si rammenti la vicenda  di Galileo, diventa invece una specie di libera accademia quando si tratti di  celebrare Ratzinger.
  Anche ai cristiani ciò dovrebbe stare davvero a cuore: e del resto basta  ascoltare la voce di Leonardo Boff, o ricordare quella di Hans Kung, per sapere  quanto inutile dolore abbia inferto la repressione del "pastore tedesco"  (indimenticabile titolo del manifesto il giorno dell'elezione di Benedetto XVI)  nei confronti della teologia della liberazione, e più in generale di ogni  dissenso. E poi: la sua avversione per l'ecumenismo (si rammenti la reticenza  del chiamare "chiese" le altre confessioni cristiane, rinnegando la svolta  epocale compiuta da Giovanni XXIII nell'indizione del Vaticano II), la  spiccatissima misoginia (allucinante la Lettera ai vescovi della Chiesa  Cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel  mondo, del 2005), l'inquietante omofobia, la legittimazione dell'ateismo  sanfedista (si rammenti l'udienza concessa a Oriana Fallaci, che scrisse: «Un  Papa che ama il mio lavoro da quando lesse Lettera a un bambino mai nato, e che  io rispetto profondamente da quando leggo i suoi intelligentissimi libri»)…
  Ma è forse sull'abdicazione che bisognerebbe riflettere (https://www.leparoleelecose.it/?p=9097). Che la Provvidenza abbia  cavato bene dal male aprendo la stagione di Francesco è un fatto: ma sappiamo  bene come i piani del quondam papa fossero opposti, puntando a regalarci un  papa ciellino. Soprattutto, colpiva quel ribaltamento dello spirito del  Magnificat: Benedetto si dimise dicendo di non avere più forza umana. Quando –  da David a Giuditta, a Maria… – è la mancanza di forza unita all'abbandono a  Dio a ribaltare la logica del mondo: «quando sono debole, è allora che sono  forte», dirà Paolo. Nelle motivazioni invocate da Benedetto pareva invece  allignare l'immagine della Curia come potere tutto terreno: neo-pelagiano nel  fare a meno di Dio (scriverà poi papa Francesco, nella Gaudete et exsultate,  «ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un'altra strada:  quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell'adorazione  della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un  autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in  molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l'ossessione per la legge,  il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l'ostentazione nella cura  della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa»). Impressione  rafforzata dalla decisione di lasciarsi da solo (invece di farli stabilire dal  successore) titoli e privilegi (come il grottesco "papa emerito", o il titolo  di "santità"…), rimanendo in Vaticano, e facendosi obiettivamente usare dalla  fronda reazionaria che è platealmente riemersa in queste ultime ore.
  Preghiera e rispetto, dunque, per l'anima cristiana di Joseph Ratzinger. Ma  anche discernimento nel giudicarne la traiettoria di uomo di potere. In ogni  caso tutto, tranne che "santo subito".