Il "miracolo" di Bolsena
Su Avvenire» del 5 giugno 2022 compariva l'articolo I miracoli eucaristici, segni celesti d'amore,
relativo al convegno di due giorni a Bolsena. aperto dall'arcivescovo
Rino Fisichella e dedicato al celebre "prodigio" del 1263 in cui del
sangue sarebbe sgorgato dall'ostia sollevata dal sacerdote; più in
generale sui miracoli affini di altre località in Italia (Lanciano,
Alatri. Dronero, Torino, Trani) e in Europa (Avignone. Lugano, Segovia…)
i cui rappresentanti erano presenti al congresso, connotato
dall'ideologia del Santissimo Sacramento quale massima espressione della
fede e del culto cattolico.
Ora il sangue è assente nell'ultima cena in tutti e quattro i vangeli originari!
Cominciamo dal IV vangelo che, pur mancando del cosiddetto racconto
dell'istituzione, sviluppa il discorso "eucaristico" nel c. 6 sul pane
di vita (solo sul pane). L'espressione «chi mangia la mia carne e beve il mio sangue…» (Gv 6,52-57) è un'inserzione posteriore del redattore ecclesiale (nella 2a edizione
del vangelo, circa un secolo dopo la passione; agli uditori di Gesù
nella sinagoga di Cafarnao sarebbe apparsa come antropofagia
cannibalistica).
Per
farla breve, privilegiamo il testo corto di Luca testimoniato da alcuni
manoscritti, che originariamente saltava dall'attuale 22,19a («Questo è
il mio corpo", stop) al v. 21 sul traditore. In esso non c'erano
le parole sul calice-sangue del v. 20 «Questo calice (è) la nuova
alleanza nel mio sangue, che sono invece un "copia-incolla" posteriore
dalla Prima Corinti 11,25, il cosiddetto testo lungo di Luca, fra
l'altro sbrigativo poiché manca il verbo "essere" presente invece in
Paolo.
Anche
Marco 14,24 («Questo è il mio sangue...») è un'aggiunta posteriore:
dopo che tutti ne hanno bevuto (14,23), seguiva logicamente il detto escatologico «Non
berrà più del frutto della vite…» (v. 25). Col vino già tracannato dai
discepoli, non ha senso dire «questo è il mio sangue». Avrebbe avuto
senso prima di berlo; così infatti, con più logica, Matteo 26,27s corregge nel copiare il nostro testo attuale di Marco.
Perciò
nei vangeli originari c'è solo lo spezzare il pane, rielaborato
simbolicamente in «questo è il corpo di me»; fra l'altro «questo è il
mio corpo» meccanica e barbara traduzione dall'aramaico, il cui senso è
«Qui (ci) sono io», ossia nel pane spezzato significante il dono-amore
che va al di là della morte... Come non ricordare la passione delle
decine di cristiani massacrati a messa in Nigeria la domenica di
Pentecoste 2022?
Ciò
nei vangeli è ovviamente accompagnato dal giro (o più giri) di calice,
ossia dal puro e semplice vino condiviso nella commensalità. Non si beve
del sangue umano, si beve vino nei calici in attesa di berlo nuovo nel
Regno [il vino è escatologico, non sacramentale; non si berrà il "sangue
nuovo" di Cristo]. Non si mangia della carne umana bensì si (con)divide
il pane facendo memoria (memoriale) della cena del Signore: ossia la
«valenza teologica e sociale del pane spezzato», come ben detto sia nel
testo che nel sottotitolo di «Avvenire» dall'arcivescovo Michele
Pennisi, assistente ecclesiastico della Confederazione delle
Confraternite d'Italia (Compagnie del Santissimo Sacramento).
Quindi
se a Bolsena è veramente sgorgato dall'ostia elevata del sangue (e non
altri liquidi sospetti di frode), ciò significa che il celebrante Pietro
(da Praga) aveva… ferite nelle dita o nelle mani.
m. p.
Da Il Foglio di Torino