Erdogan nella città sparita "Non vi lasceremo soli"
Ma intanto blocca i social
La Repubblica 9/2
GABRIELLA COLARUSSO
HATAY — Le fiamme bruciano i container del grande porto di Iskendenur, una colonna di fumo nero sovrasta la città affacciata sul Mediterraneo. Il terremoto ha sventrato uno degli scali marittimi più importanti della Turchia, che alimenta l'industria pesante nazionale cargo di acciaio, cemento - ora è fuori uso. Ma è solo l'inizio di una discesa spettrale, perché oltre i monti Nur e il valico innevato di Belen, si apre la piana di Hatay: la catastrofe. Era una provincia di agricoltura e piccole imprese, con una grossa area urbana e Antiochia nel mezzo. La sua numerosa comunità cristiana. Adesso è una sequenza di macerie, l'area più colpita dal sisma che ha sconvolto il Sud Est della Turchia il 6 febbraio. Sono venute giù le case, i capannoni agricoli e industriali.
Sono crollate le scuole, come il liceo Defne. Si è dissolto l'ospedale, l'Akademi. «C'erano decine di pazienti all'interno, non sappiamo ancora quanti», dice Armagan, mentre afferra rapidamente cappotti e sciarpe da una pila di vestiti lasciati dai volontari sul marciapiede: di notte la temperatura scende sotto lo zero. Nelle case non è rimasto più nessuno. Chi non è riuscito a raggiungere parenti o amici in altre città, dorme in strada, in macchina o seduto sulle sedie tirate via dalle macerie. «Per 24 ore non abbiamo visto nessuno, il grosso dei soccorsi è arrivato oggi, e comunque non è niente rispetto a questo disastro: non c'è acqua, elettricità, gasolio», dice con mezza voce un signore sulla sessantina, che se ne sta seduto su una sedia rossa con la sua famiglia: moglie, tre figlie e un nipotino di 3 mesi. Hanno acceso un fuoco per scaldarsi. «Il governo? Ho solo un messaggio per loro: abbiamo bisogno di aiuto e ne abbiamo bisogno adesso».
Erdogan, il presidente al potere da 20 anni che si trova a gestire l'emergenza più complicata della sua storia politica a tre mesi da elezioni presidenziali, è arrivato qui ieri per placare la rabbia della città ferita a morte. Ci sono stati anche degli arresti ad Hatay, persone che avevano denunciato sui social la mancanza di soccorsi e sono state accusate di aver diffuso informazioni false creando terrore nella popolazione.
Ieri il governo ha deciso di bloccare i social network. E il leader del principale partito d'opposizione, Kilicdaroglu, chiede ai turchi di fare incetta di vpn, le reti che riescono a superare i filtri e la censura, per connettersi e aiutarsi nei soccorsi. «Questo collasso è il frutto di un sistema politico rapace», attacca. Ma Erdogan non ci sta. «Non è possibile essere preparati a un tale disastro», dice ad Hatay. «Non lasceremo nessuno da solo, considero persone disonorevoli coloro che diffondono bugie e calunnie sulla risposta del governo all'emergenza solo per scopi politici». Rivendica di aver messo in campo 21mila tra soldati, poliziotti e gendarmeria per organizzare le ricerche, «170 squadre lavorano in quest'area», assicura ai residenti di Hatay. Chiede unità e solidarietà. Ma i numeri sono raggelanti, e la rabbia inevitabile.
Dei 9mila morti contati finora in tutta la regione colpita dal sisma, più di 3.500 sono solo in questa zona, un terzo dei palazzi che hanno ceduto sono crollati qui. «Il 90% di Hatay non esiste più. Com'è possibile?», si agita Ilknur, 30 anni. Alle sue spalle i soccorritori stanno scavando con prudenza sotto un edificio che potrebbe ancora restituire vite, chiedono silenzio. Si paralizzano tutti ma è impossibile far tacere le sirene delle ambulanze che cercano di farsi spazio sulla statale ingolfata. È l'unica arteria stradale rimasta operativa, i camion dei soccorsi sono incolonnati.
Decine di ragazzi si sono trasformati in vigili, si bracciano per aprire varchi tra le fila di auto e far passare le ambulanze che schizzano verso Adana, dove c'è l'ospedale più vicino perché anche quello di Iskendenur è crollato, e un centro di chirurgia dove stanno portando le persone che sotto le macerie hanno perso gli arti. Due elicotteri militari sorvolano la zona, uno getta acqua sul fumo di un palazzo in fiamme. La protezione civile ha organizzato diversi punti spot dove raduna sfollati e distribuisce loro coperte, riso, te caldo e pane.
Ma è ancora una goccia in mezzo al mare. Le sirene continuano, per tutta la notte. Allo svincolo per l'aeroporto i militari bloccano l'accesso: il terremoto ha tagliato la pista in due, inutilizzabile. Ad Hatay anche la caserma dell'esercito è crollata.