lunedì 13 febbraio 2023

Il terremoto fa vacillare Erdogan a tre mesi dalle elezioni

Michele Giorgio

Il Manifesto 10/2

 

Lunedì mattina un articolo sul giornale siriano Al Watan, vicino al governo, scritto poche ore prima delle scosse di terremoto che hanno devastato Turchia e Siria, citando anonime fonti diplomatiche ad Ankara, riferiva che gli Stati Uniti starebbero lavorando sodo per influenzare i risultati delle elezioni turche allo scopo di mettere fuori gioco Recep Tayyip Erdogan. Il sultano della politica turca ne sarebbe consapevole e avrebbe ordinato di fare il possibile per «tenere lontane le mani sporche degli Usa dalla Turchia». Al Watan aggiungeva che questi sviluppi avrebbero spinto Ankara a chiedere (a Mosca) l'accelerazione del riavvicinamento a Damasco. Potrebbe perciò tenersi già a metà febbraio il nuovo incontro dei ministri degli esteri di Siria, Russia e Turchia. Quanto siano credibili le indiscrezioni riportate da Al Watan non è facile valutarlo, tenendo conto dell'interesse della Siria a mostrare il nemico Erdogan indebolito e pronto a riconciliarsi con il presidente Bashar Assad pur di ottenere un successo diplomatico da spendere in casa. Comunque sia il terremoto e le proteste in Turchia per la gestione governativa dei soccorsi, rendono più vacillante la posizione di Erdogan a tre mesi dal voto e gli impongono di afferrare tutte le opportunità a disposizione.

La macchina dei soccorsi internazionali alla Turchia colpita dal sisma rappresenta agli occhi della popolazione un modello di efficienza rispetto all'incerta gestione turca dell'emergenza. Erdogan, perciò, nei tre mesi che mancano al voto dovrà dimostrare che il governo e la sua leadership hanno avuto le capacità per far superare alla Turchia il disastro naturale più grave di questi ultimi decenni. L'opposizione non è unita e non ha ancora deciso chi si sfiderà Erdogan. Ma potrebbe farlo presto e considerando che il voto curdo sarà un fattore decisivo, anche per il terremoto nell'Est del paese, il presidente turco sa che se vuole recuperare consensi deve portare a termine l'obiettivo dichiarato di rimandare a casa buona parte dei milioni di profughi siriani in fuga dalla guerra entrati in Turchia dopo il 2011. È ciò che gli chiede l'opinione pubblica da quando si è approfondita la crisi economica ed è uno dei punti più critici su cui batte l'opposizione nazionalista per tenerlo sotto pressione. Non è detto che Bashar Assad sia disposto a lanciargli subito la ciambella di salvataggio.

Il terremoto è un attore politico inaspettato, in grado di alterare seppur solo in parte situazioni immutate da anni. E se per Erdogan le conseguenze del sisma sono un rischio, per Assad al contrario offrono un'opportunità per uscire dall'isolamento in cui viene tenuto da Usa e Ue. Forse anche per sottrarsi alla pressione militare di Israele. Nessuno prevede che l'aviazione israeliana cesserà di bombardare in Siria quelli che Tel Aviv descrive come depositi di armi e missili e postazioni della Guardia rivoluzionaria dell'Iran alleato di Damasco. Non è però passata inosservata l'interruzione delle quasi quotidiane incursioni aeree israeliane. Con l'attenzione internazionale concentrata sulle devastazioni e le sofferenze dei civili in Siria, per i comandi israeliani non è semplice ordinare nuovi attacchi.

Per mettere in difficoltà americani ed europei che si rifiutano di mandare aiuti diretti al suo governo, Assad ha prima smentito di non volere la loro assistenza – l'unico rifiuto è al premier israeliano Netanyahu che a inizio settimana aveva offerto soccorso alla Siria, anche se con ogni probabilità si era riferito alla regione «indipendente» di Idlib e ai curdi – quindi ha garantito che il suo governo distribuirà aiuti a tutti i siriani anche quelli che vivono nelle aree fuori dal suo controllo. Nelle ultime ore, Damasco ha incassato promesse di sostegno umanitario dagli alleati russi e iraniani e da paesi arabi che negli anni passati avevano appoggiato l'opposizione siriana, come Emirati e Bahrain.

Due giorni fa una delegazione libanese ad alto livello guidata dal ministro degli esteri Abdullah Bou Habib per la prima volta dal 2011 ha incontrato Assad al quale ha ribadito che i porti ed aeroporti libanesi sono aperti senza condizioni al flusso di aiuti per la Siria. Il leader siriano ha colto l'occasione per sottolineare che i soccorsi stanno arrivando da tanti paesi in violazione delle sanzioni internazionali e del rigido Caesar Act statunitense contro la Siria in vigore dal 2020. Nelle ultime ore sui social è virale l'hashtag #stopsanctionssyria per la revoca delle sanzioni. Le aspettative di Damasco probabilmente sono esagerate. Una cosa però emerge evidente: dopo il terremoto è Erdogan ad avere bisogno subito della riconciliazione con Assad, più di quanto il presidente siriano abbia necessità di normalizzare i rapporti con quello che è stato il suo nemico più accanito.