venerdì 3 febbraio 2023

MANIFESTO IN SOLIDARIETA' SULLA VICENDA DI BIBBIANO

 PREMESSA DEL MANIFESTO

Sta circolando il seguente MANIFESTO sottoscritto da psicoterapeuti, psichiatri e neuropsichiatri, in riferimento al processo penale che coinvolge Claudio Foti per la vicenda di Bibbiano.

Chi vuole aderire (psicoterapeuta, psichiatra o neuropsichiatra) può chiedere la documentazione su cui il manifesto si basa alla segreteria del Comitato promotore, specificando il nome e l’appartenenza all’Ordine professionale. manifestopsicoterapeuti@gmail.com

E’ in gioco non solo una specifica vicenda penale, ma più in generale la libertà dei terapeuti di esercitare la loro professione in scienza e coscienza a contatto con le sofferenze traumatiche e più in generale con le sofferenze dei pazienti nel rispetto degli strumenti diagnostici e scientifici e senza interferenze motivate da ragioni contrapposte ai compiti di cura.

L’iniziativa in meno di una settimana ha raggiunto 40 adesioni. Leggi la documentazione e se maturi un convincimento firma anche tu.


MANIFESTO DEGLI PSICOTERAPEUTI

SU UNA PSICOTERAPIA PRESUNTAMENTE LESIVA


Abbiamo seguito, come tanti italiani, la vicenda dell'indagine su presunti reati commessi a Bibbiano da assistenti sociali, psicoterapeuti e amministratori sulla vicenda di presunti affidi e trattamenti psicoterapeutici illeciti. 

Comprendiamo quanto la vicenda sia complessa e sappiamo quanto sia doveroso astenersi dal formulare giudizi di colpevolezza come dal prendere le difese di imputati che potranno far valere le proprie ragioni nel processo, con una cognizione dei fatti che noi non abbiamo e sui quali anche per questo non intendiamo pronunciarci.

Abbiamo piena fiducia nella magistratura e crediamo nella sua imparziale opera.

  Pur non di meno abbiamo sentito il dovere e la necessità di comprendere da vicino e in profondità come si sia arrivati alla pronuncia di una sentenza di condanna di uno psicoterapeuta per il fatto di aver indotto attraverso le sue domande l'insorgenza di una patologia ben definita: il Disturbo Borderline di Personalità (BPD).

Siamo così venuti a conoscenza che la diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità è stata effettuata un anno dopo il termine della psicoterapia a seguito di un solo incontro tra la psicologa forense, incaricata dal pubblico ministero e la ragazza, parte offesa nel procedimento penale

Abbiamo potuto anche appurare  che nel colloquio di poco più di un'ora con la ragazza non sono mai stati somministrati questionari o test e che, dopo quell'incontro, nessun altro colloquio si è tenuto, né è stato dato riscontro di cure intraprese dalla paziente successivamente alla diagnosi di disturbo borderline.

Abbiamo visto come nella relazione della stessa psicologa, consulente di parte del PM, compaia il riferimento nella storia della paziente a tutti i seguenti eventi o problemi: riferito episodio di abuso all'età di 4 anni, riferita violenza sessuale all'età di 13 anni, separazione molto conflittuale dei genitori, violenze subite nel contesto familiare dalla madre da parte del padre e da parte del proprio fratello,  abbandono per anni da parte del genitore, atteggiamenti di pesante squalifica e colpevolizzazione patiti dal padre, rifiuto e contrapposizione reattivi da parte della ragazza, comportamenti trasgressivi, stati depressivi, interruzione della frequenza scolastica, marcata svalutazione di sé, consumo di sostanze stupefacenti.

Abbiamo verificato come questi eventi e situazioni fossero accaduti prima dell'inizio della psicoterapia ed anzi, proprio a causa di essi, la psicoterapia veniva prescritta dallo stesso Tribunale per i minorenni di Bologna una psicoterapia centrata sul trauma, proprio quella psicoterapia che ha portato alla condanna del curante.

Abbiamo appurato come, pur a fronte di ciò, la consulente psicologa non solo abbia formulato la diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità, ma l'abbia anche ricollegata alle domande asseritamente induttive dello psicoterapeuta proprio sugli eventi di abuso, eventi che peraltro erano già stati riferiti dalla ragazza, alla stessa madre e in diversi contesti e a diverse figure.

Noi, studiosi e professionisti, dopo la lettura della  consulenza affermiamo in scienza e coscienza che essa ha proceduto alla diagnosi  del  grave disturbo di personalità borderline senza il rispetto dei criteri indicati dalla  procedura prevista dal DSM V e applicati nella pratica professionale  quotidiana  da psicologi e psicoterapeuti. 

Affermiamo e denunciamo inoltre che la psicologa consulente ha posto nell'irrilevanza  tutti gli eventi, problemi e situazioni sopra elencati che si erano incontestabilmente  verificati nella vita della paziente e che  per pacifica e concorde convinzione si collocano con forza causale nella eziopatogenesi del Disturbo di personalità Borderline.

Come psicologi e psicoterapeuti sentiamo il dovere  di prendere a questo proposito  una posizione chiara:

la diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità non può essere formulata a seguito di un solo incontro risoltosi in un colloquio.

L’affermazione per cui un Disturbo Borderline di Personalità può essere determinato da una ipotetica formulazione di domande suggestive nel corso di una psicoterapia è una affermazione totalmente priva di fondamento dal punto di vista scientifico.

Lo sviluppo di un Disturbo Borderline di Personalità è legato, nel parere unanime di tutti gli studiosi che se ne occupano, da 50 anni a questa parte, ad una serie di eventi sfavorevoli e di fattori relazionali e ambientali  tutti purtroppo, bene documentati nella storia della paziente V. e tutti in grado di determinare quel Disturbo. 

In presenza dei fatti e circostanze accertati e non contestati, di cui si è fatto elenco sopra, la diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità non può prescindere da essi, in quanto rappresentano un fattore causale imprescindibile del suddetto disturbo.

In conclusione il percorso che ha portato la psicologa consulente del PM a diagnosticare un disturbo borderline di personalità e, di più, a pronunciarsi su una psicoterapia affermandone il carattere iatrogeno, è frutto di un processo antiscientifico ed aprioristico.

Siamo preoccupati per una deriva antiscientifica che mette in pericolo l’esigenza di migliaia di operatori che hanno bisogno di svolgere la propria attività in condizioni di serenità, e migliaia di pazienti che hanno bisogno di credere in una prassi clinica affidabile, governata dallo scrupoloso rispetto delle conquiste della scienza e della professione.

Alla magistratura lasciamo la valutazione dei fatti e delle responsabilità, ma rivendichiamo al sapere e all’esperienza della professione il governo delle diagnosi e della cura del paziente.


ADERISCI A QUESTO MANIFESTO.

FIRMA E SPECIFICA LA TUA QUALIFICA.



INVIA LA TUA ADESIONE tramite mail o tramite whatsapp a: manifestopsicoterapeuti@gmail.com

C.A. Sig. ra Monica De Gregorio 347.5760254



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C.A. Sig. ra Monica De Gregorio 347.5760254


Nota bene:

Mi sembra impossibile che uno psicologo che ho frequentato e di cui mi sono avvalso nel mio impegno di solidariertà  sia oggi accusato di cose per le quali abbiamo lottato insieme.

Franco Barbero