“Sono quasi finito per strada”.
La difficile riconversione dei preti che hanno lasciato la Chiesa per amore
Sophie Cazaux
Nel 2017 padre David Gréa ha incontrato papa Francesco. Tutti i preti non possono dire lo stesso, ma quest’incontro non aveva lo scopo di metterlo sotto i riflettori. David Gréa era mandato dal suo vescovo, perché aveva una relazione d’amore.
Ha incontrato nel 2016 la sua sposa Magalie, “una protestante che veniva in chiesa”, spiega a BFMTV.com. Ordinato prete a 31 anni nel 2000, afferma in realtà di essersi sempre posto delle domande riguardo al celibato imposto ai preti dalla Chiesa cattolica latina.
“Ci viene detto che questa questione sarà risolta se si ha una chiamata sincera”, prosegue.
Ha seppellito questa questione per diversi anni perché si è realizzato nella sua attività, ma tre anni prima di incontrare Magalie, si rende conto che è “felice come prete, ma non come uomo”.
È anche questo che alla fine di gennaio ha spinto il rettore della cattedrale di Orléans ad abbandonare il ministero, non riuscendo più a sopportare le “frustrazioni legate al ministero presbiterale, e più in particolare al celibato”.
“Nel cuore delle prove vissute in questi ultimi anni, il caso della vita ha voluto che trovassi il conforto di cui aveva bisogno in un’amica che mi ha ascoltato e sostenuto”, ha spiegato in un messaggio rivolto ai fedeli. “Oggi non posso immaginare il mio futuro senza di lei”.
relazioni nascoste
Questo sentimento che “manca qualcosa”, Marc Fassier l’ha sperimentato allo stesso modo. Diventato prete a 27 anni, ha donato 15 anni della sua vita alla Chiesa. “Ciò che mi attirava era l’aspetto relazionale, la combinazione tra la relazione con Dio e la relazione con gli altri, la ricerca di assoluto”, spiega a bfmtv.com.
È prete in una parrocchia di Les Lilas, nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, quando incontra Ingrid nel 2017. Lei prepara con lui il battesimo della sua ultima figlia con lui, “e mano a mano si costruisce una relazione di amicizia” tra loro due. “Parliamo molto”, racconta Marc Fassier.
Alla fine del 2018, questa relazione vive una svolta. “Un giorno la invito a casa mia per prendere un tè ed alla fine di quest’incontro, (...) lei mi abbraccia e mi bacia”, ricorda. “È una sorpresa ed allo stesso tempo una forma di rivelazione. Mi dico che c’è di più rispetto all’amicizia, c’è l’amore. Lei ha paura di rompere la nostra amicizia. Io le dico: «accogliamo questo, è ciò che dobbiamo vivere ed andiamo avanti»”.
Seguono lunghi mesi di relazione nascosta, nel corso dei quali si ritrovano il più lontano possibile dalla loro parrocchia, per paura di essere denunciati. Nel gennaio 2020 il prete ritiene che questa situazione non sia più sostenibile, ma la sua decisione è accelerata dall’invio al vescovo di una lettera anonima che evoca questa relazione. Il suo superiore decide di allontanarlo dalla parrocchia, ma poco più di un anno dopo, in seguito alla partecipazione di Ingrid e Marc ad un podcast, lo sospende dal suo ministero.
IL CELIBATO, “UN DONO PER GLI ALTRI E PER DIO”
Questo tipo di situazione non è così raro per il sociologo Josselin Tricou. Lavorando sul genere e la sessualità all’interno del clero cattolico, constata che “spesso ciò che provoca l’addio del prete non è la coppia, ma il fatto che si sappia”. Anche se è “molto complicato sapere quanti preti abbiano una vita sessuale attiva”, l’autore del libro “Des soutanes et des hommes” (PUF, Parigi 2021) ritiene che “dire che è il caso del 50% di loro va bene”.
Per il rettore del seminario di Parigi, padre Olivier de Cagny, “bisogna fare la differenza con il prete che una volta cade in un peccato, che chiede perdono, si rialza e riparte”. “Ma la doppia vita nascosta, non mi sembra che esista così tanto”, afferma. “Sono sicuro che ci sono molti preti che non hanno mai relazioni sessuali e sono anche sicuro che molti sono tentati”.
“Il primo motivo” del celibato obbligatorio dei preti, “che esiste da sempre, a partire da Gesù e dal Vangelo, è che ci siano persone che siano interamente donate alla Chiesa”, sottolinea a BFMTV.com colui che forma futuri preti.
Allo stesso modo c’è anche una dimensione sacrificale. “Celebrando la messa, si celebra il dono di Gesù che dona anche il suo corpo”, spiega padre de Cagny. “Così come noi preti presidiamo questa celebrazione, vogliamo vivere concretamente ciò che si celebra nella liturgia”.
UN ADDIO SPESSO OBBLIGATO
Abbandonare il ministero non è proprio come un licenziamento in un’azienda classica. Quando l’addio segue una relazione amorosa, avviene piuttosto sotto costrizione: quando il vescovo di Bernard Chalmel ha scoperto nel 2005 che il prete - entrato in seminario a 18 anni – aveva due figli, gli ha dato un mese per lasciare la diocesi.
Allora aveva 57 anni. “Quando si è preti, non si è abbastanza attorniati”, ritiene. “Spesso si è invitati ai battesimi, ai matrimoni. E dopo si rientra a casa e ci si sente soli. Non si ha una persona con cui condividerlo”.
Padre de Cagny riconosce che i preti attraversano “crisi e prove” ed assicura che la Chiesa è “oggi molto attenta alla loro solitudine”.
Licenziato dalla Chiesa, Bernard Chalmel riceve a titolo di risarcimento un anno di “stipendio”. Alla fine di quest’anno si iscrive al Centro per l’impiego in cerca di lavoro. “Hanno riso”, ricorda. “Tra i preti, non ce ne sono molti che si presentano al Centro per l’impiego. Non sapevano in quale casella mettermi”.
“in una sola volta, si ritorna a zero”
David Gréa dice di essere “quasi finito per strada” dopo il suo addio alla Chiesa. Grazie ad una valutazione delle competenze pagata dalla sua diocesi, si è tuttavia potuto riconvertire come coach in management e oggi dirige una società in questo campo con Marc Fassier. Anche quest’ultimo ha vissuto male il fatto di abbandonare un lavoro che amava profondamente.
“C’è una mitologia cattolica che vuole che l’ingresso nel ministero sia un enorme sacrificio”, commenta il sociologo Josselin Tricou. “Ma ciò che costa veramente è l’addio, che comporta la perdita dell’aura di prete, di un lavoro a vita, di una sicurezza economica…Abbandonano solo quando vi sono costretti”.
“Il fatto di predicare mi manca, è qualcosa che ho sempre dentro di me”, dichiara per esempio David Gréa. “Continuo ad andare in chiesa e mi capita di pensare che avrei delle cose da dire”.
“La vita di prete mi manca molto, ho ancora degli incubi”, dice Bernard Chalmel. “Il mio rimpianto è costituito da tutte le relazioni umane che ho potuto tessere, ma riguardo all’istituzione, che per me evolve molto male, non ho rimpianti”.
UN SENTIMENTO “Di ABBANDONO”
Queste difficoltà materiali e psicologiche si coniugano con un sentimento di esclusione e di ingiustizia. Marc Fassier dice di sentirsi “scomunicato”. “Buttare fuori dei preti che vivono in maniera sana il loro amore è un’incoerenza che non sopporto”, denuncia, facendo il paragone con le rivelazioni, in questi ultimi anni, di aggressioni sessuali e stupri commessi da membri della Chiesa cattolica e talvolta coperti da quest’ultima.
“Mi sono sentito tradito”, dichiara a sua volta Bernard Chalmel. “Sapevo che ci si impegna al celibato essendo prete, ma il fatto di provare un amore umano non impedisce di fare un buon lavoro con le persone”.
“Poi ho vissuto questo come un abbandono”, prosegue colui che in seguito è diventato autista di bus. “Nessuno si chiede come vivete, come vi ricostruite la vita, si è lasciati nel nulla”.
Olivier de Cagny ammette che “c’è un problema economico ed un problema dal punto di vista dell’umanità, della fraternità”, nell’accompagnamento di questi preti “altri”. “Si dovrebbe poter conservare una relazione fraterna ed è difficile, da entrambe le parti ci si sente traditi”.
“Allo stesso tempo, così come la scelta (di diventare prete e dunque celibe) è stata fatta liberamente, si assumono le scelte fatte, non può essere una sorpresa la dimissione dallo stato clericale. Da parte nostra, bisogna anche vegliare per non essere sprezzanti”, aggiunge.
VERSO UN AMMORBIDIMENTO DELLA REGOLA?
La messa in discussione del celibato obbligatorio dei preti è tanto lontana? Il sociologo Josselin Tricou osserva che “la questione non è completamente chiusa”, anche se “il tempo della Chiesa non è necessariamente il tempo dell’attualità”. Nel 2019, durante il Sinodo dell’Amazzonia era stata suggerita l’idea di aprire il ministero presbiterale ad uomini sposati (“viri probati”), per rimediare ad una mancanza di preti nella regione. Una proposta che alla fine non è stata accettata dal Vaticano.
Per padre Olivier de Cagny, “il dibattito è aperto, ma non ci arriviamo in fretta”. Il rettore sottolinea che “l’insegnamento dell’ultimo Concilio e gli ultimi papi hanno riaffermato il loro attaccamento a quest’obbligo in Occidente”.
Quando David Gréa e sua moglie Magalie hanno incontrato papa Francesco nel 2017, “l’incontro si è svolto molto bene, c’era un uomo molto semplice, accogliente, rispettoso”. “Ha detto che riconosceva la sincerità del nostro percorso ed il suo coraggio. Aveva un convincimento fedele a quello del Vangelo, che il celibato è una chiamata e non qualche cosa di automatico”.
David Gréa non aveva visibilmente ricevuto questa chiamata ed è stato dimesso dallo stato clericale durante un processo canonico, dopo 17 anni di ministero.
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Articolo pubblicato il 13.02.2023 in www.bfmtv.com
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI