lunedì 27 febbraio 2023

RICEVO DA ROSARIO GRECO DELLA COMUNITA' DI PALERMO

Ricominciamo da capo, o almeno torniamo al punto in cui ci eravamo fermati.

Gesù ha lasciato tutto ed ha abitato nel deserto: da uomo, Gesù cerca nel deserto la propria identità. 

E la trova.

«Il deserto è il cammino di riconciliazione con il proprio io autentico»1.

Nel deserto mi sono ricordato del mio nome. 

È questo il messaggio di una famosa canzone degli America

 (A horse with no name, 1971). Così si canta nel ritornello:

Ho attraversato il deserto su un cavallo senza nome,

mi sentivo bene lontano dalla pioggia.

Nel deserto puoi ricordare il tuo nome

perché non c’è nessuno che può farti soffrire.

Riconciliarsi con il proprio io autentico, ricordarsi del

 proprio nome, sono modi diversi di esprimersi che ci

 parlano di un io, quello vero, che è in ognuno di noi; si

 tratta di quell’io profondo (e, forse per questo,

 misterioso), della nostra vera essenza; si tratta di quell’io

 che è nascosto agli occhi dei più, ed anche a noi stessi; e

 questo io risulta chiaro solo a Dio, perché è nascosto in

 quella regione dove solo Dio abita2.

Da un punto di vista filosofico è corretto affermare che

ognuno di noi partecipa delle profondità di Dio, e nel dire questo non si vuole dire che ciò sia qualcosa di occasionale, qualcosa che oggi c’è e domani no. 

Noi partecipiamo realmente delle profondità di Dio, perché il nostro essere partecipa, istante per istante, dell’Essere stesso di Dio.

Ed allora, radicati, come siamo, in Dio, fin nella fibra più intima del nostro essere, potremo vedere ciò che siamo, chi siamo realmente, se orienteremo il nostro sguardo verso il centro del Suo mistero.

Se la nostra essenza più nascosta è un riflesso dell’Essenza divina, sarà solo Lui a dirci chi siamo, qual è il nostro vero nome.

Ma ciò solo quando ogni esteriorità si metterà da parte, ogni apparenza scomparirà, ogni velo che copre il nostro sguardo cadrà. E questo, tante volte, avviene solo nel silenzio e nella solitudine.

Queste cose doveva saperle, in qualche modo ed a modo suo, anche Gesù, che pregava con i Salmi, ed uno di questi dice:

È in te la sorgente della vita

alla tua luce vediamo la luce (Sal 35,10).

Ed anche qui ci viene incontro Thomas Merton:

È necessario dare un nome a Colui il cui silenzio io condivido e adoro, perché è nel suo silenzio che Egli pronuncia il mio nome. 

Egli solo conosce il mio nome, nel quale anch'io conosco il suo. Perché nell'istante in cui mi chiama «figlio mio», ho la percezione di Lui come «Padre mio» […].

Non appena pronuncia il mio nome, il mio silenzio è il silenzio della vita infinita e so di essere perché il mio cuore si è aperto al Padre mio nell'eco degli anni eterni3.

Gesù ha superato la sua prova, nel deserto ha conosciuto il nome più bello di Dio, AbbàPapà, e gli è stato ricordato anche qual è il suo vero nome: Gesù, o più esattamente, in aramaico, Jeshu‘a, che significa ‘Jahvè è salvezza’Questo era il suo vero nome, ossia desiderio di riscatto, desiderio di liberazione per tutti.

E fu da questo momento che

Gesù visse per annunciare il regno di Dio: un nuovo modo di esistere, la possibilità di incontrare gli altri come fratelli, di perdonarsi vicendevolmente i peccati, di distribuirsi il pane. E tutto ciò per la fiducia in Dio e nel suo amore misericordioso. Gesù visse questa fede e manifestò questo amore fino a morirne4.

1 G. Gonella, Nel deserto il profumo del vento, Il Margine, Trento 2010, p. 18.

2 Cfr. T. Merton, Semi di contemplazione, tr. it. B. Tasso-E. Lante Rospigliosi, Garzanti, Milano 1968, pp. 13-14.

3 T. Merton, Pensieri nella solitudine, tr. it. Benedettine di S. Paolo in Sorrento, Garzanti, Milano 1972, pp. 63-64.

4 C. Molari, Si fece uomo, p. 4.