martedì 21 febbraio 2023

ROVINE E ANCORA ROVINE

TERREMOTO E GUERRA (Beppe Manni Gazzetta 2 2 23)

Enea, racconta Virgilio nell’Eneide, quando vede scolpita su un tempio la distruzione di Troia la sua città, esclama «Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt». ‘Queste rovine sono il pianto delle pietre che commuovono la mente dei mortali’. E’ il grido muto dei palazzi distrutti in Turchia, in Siria e in Ucraina; a Kiev e Zaporizhzhia dal terremoto e dalla guerra: una tragica vicinanza. Non ci sono rovine tra di loro nemiche, le morti e le lacrime sono comuni per tutti: giovani e vecchi, donne e bambini in fuga o sepolti sotto le macerie delle loro case.

Non per i politici che a Bruxelles il 9 febbraio al Consiglio europeo alla presenza di Zelensky. Non si è parlato di pace ma di guerra, non di diplomazia e di dialogo tra Ucraina e Russia, ma di cannoni, carri armati, missili e aerei. Volontari di tutte le nazioni, civili e militari si affaticano generosamente ad estrarre i 40.000 cadaveri e qualche sopravvissuto dalle macerie del terremoto tra il pianto dei sopravvissuti: turchi, curdi, siriani, musulmani, cristiani, poco prima nemici. Così in Ucraina sotto i missili russi o in Russia attaccata dai droni Ucraini. 200.000 i morti bruciati nei carri o sotto le case. I generali assassini seduti vicino alle carte e agli schermi elettronici, dirigono i loro strumenti di morte su popoli fratelli e mandano giovani ragazzi ad uccidere coetanei strappati alle loro famiglie e ai loro progetti futuri di pace e amore.

Gareggiamo con il furore della natura, le sue valanghe, inondazioni e terremoti, aggiungendo dolore a dolore, morte a morte, distruzione a distruzione. Non è forse sufficiente la fame dei popoli, gli annegati in mare, i campi profughi, le malattie terminali, la solitudine degli immigrati e degli anziani, che dobbiamo aumentare il dolore con le nostre mani? Una volta le religioni inventarono il diavolo, i demoni e satana per spiegare l’inspiegabile follia dell’uomo che nemmeno gli esorcismi e gli angeli sapevano sconfiggere.

Ho iniziato con Virgilio finisco con Leopardi. Nel 1836 il poeta è ospite a Napoli dal suo amico Ranieri e assiste ad un’eruzione del Vesuvio; passeggiando sulla costa arida e infeconda del monte, così scrive ironicamente nella lirica La Ginestra: “Dipinte in queste rive - son dell’umana gente - le magnifiche sorti e progressive Stupidi umani, continuava, sete come uomini chiusi in una città assediata da un feroce nemico che anziché ‘confederarvi in universale fratellanza’ vi combattete e vi uccidete tra di voi: unitevi piuttosto per sconfiggere il comune nemico: i molti mali che affliggono la casa comune.