lunedì 3 aprile 2023

CELEBRAZIONE DELLA PASQUA 2023: IN RETE E IN PRESENZA

C o m u n i t à c r i s t i a n e d i P i o s s a s c o e v. C i t t à d i G a p - P i n e r o l o

P A S Q U A 2 0 2 3

Dio ci fa sempre

delle sorprese

P. Saluto all’assemblea

Introduzione: Pasqua: l’abbiamo tradita? (a cura di F. Barbero)

L1. Quella che davvero ci interessa è la Pasqua di ogni giorno: rinnovare la fiducia in Dio e amare i giorni che ci sono dati.

Qualcuno si domanda perché abbiamo spogliato di tanti riti la Pasqua ufficiale. 

Non abbiamo gettato via i riti così per moda: il “Giovedì Santo” non facciamo la solenne adorazione; venerdì non “adoriamo la croce” con l'esposizione e il bacio del crocifisso; sabato non adoriamo l'ostia chiusa nel tabernacolo.

Non abbiamo gettato via nulla della nostra fede.

Solo che, come Gesù ci ha insegnato, non siamo salvi per la sua morte, ma la sua crocifissione ci ricorda la fedeltà di Gesù fino all'ultimo alla proposta di Dio.

Siamo salvi e salve nei giorni della vita e oltre non per i meriti di Gesù, ma per l'amore accogliente di Dio nelle cui mani Gesù ha rimesso la sua vita nell'ora della morte.

Gesù è per noi il testimone fedele, colui che annuncia e vive nelle opere la salvezza. Non è il Salvatore.

Non facciamo l'adorazione solenne del giovedì santo (e del Corpus Domini) perché pensiamo che quel pane che condividiamo (e non adoriamo) sia la chiamata ad uscire dall'egoismo per intraprendere la strada della condivisione.


L2. Ti preghiamo, o Dio.

Quando fu buio su tutta la terra, gridò: padre nelle tue mani consegno il mio spirito. O Dio, il cui mistero adoriamo, Sei il Dio che è fonte di fiducia in ogni situazione.

Gesù era in croce: attorno a lui lacrime, scherno e disprezzo. Un centurione dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest'uomo era giusto”. Padre, sei il Dio dei centurioni, dei pagani, più che dei tanti bigotti che spesso siamo noi cristiani.

O Dio, Giuseppe d’Arimatea “non era uno dei nostri”, era un membro del Sinedrio. In questa leggenda, che però esprime la cura amorosa di quest'uomo ebreo alto locato, noi vediamo il tuo amore che non ha confini. O Padre, insegnaci un amore senza confini.

Preghiamo

L3. Preghiera a due voci

1. Vivere la Pasqua è vivere ogni momento intensamente, come se fosse l’ultimo

e fare ogni passo, con stupore e gioia, come se fosse il primo.

2. Vivere la Pasqua è ispirare amore e consapevolezza nel nostro fragile corpo e nella nostra storia, ed entrare con gioia e pace nel corpo universale e mistico che formiamo insieme già ora.

1. Vivere la Pasqua è accogliere la liberazione e la guarigione di tutto il nostro essere che si fa presente, qui e ora e nel rovescio della storia, infrangendo le nostre regole e Credo.

2. Vivere la Pasqua è guardare e vedere le piaghe del corpo e dell’anima così profonde in così tante persone, senza pensare che quelli che le hanno sono ormai finiti o fantasmi.

1. Vivere la Pasqua è condividere ciò che abbiamo con generosità e gioia, con i fratelli e le sorelle, anche se non li conosciamo, anche se fosse solo un pezzo di pane.

2. Vivere la Pasqua è liberarci dalle catene della paura, che afferrano e chiudono la nostra mente, il nostro cuore e le nostre viscere, e aprire tutte le finestre al soffio della vita.

1. Vivere la Pasqua è non perdere mai la capacità di meravigliarsi, aprire la nostra mente, imparare giorno per giorno da ogni incontro, rallegrarsi di tutto il bene, ed essere testimoni della vita che si rinnova.

T. Vivere la Pasqua, oh Dio Padre, è vedere in ogni nostro passo il Tuo passo innamorato, così rivoluzionario e solidale, così vicino ai nostri piedi stanchi…

(da un testo di Fiorentino Ulibarri, adattato)

L4. Preghiera: Notte Pasquale

Notte gentile è questa: il fuoco incendia senza distruggere, la luce illumina senza accecare, l'acqua irriga senza sommergere, la vita risorge senza più morire.

Notte amica è questa: al gelo calore, al buio aurora, al deserto oasi, alla tomba vita.

Notte gioiosa è questa: la foresta danza liberata dalla corruzione, i cuori si baciano restituiti all'innocenza, i corpi leggeri volano, rivestiti di sole e di immortalità.

Notte che non è notte, notte più chiara del giorno, primavera del mondo.

Giancarlo Bruni

Canto 1

Prima lettura

Luca 23, 44-56

44Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. 45Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. 46Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò. 47Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest'uomo era giusto». 48Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. 49Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti. 50C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. 51Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. 52Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. 54Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.

Commento di Gilda Pozzati

Premessa

La costruzione narrativa dice il gesto estremo di fiducia al Padre, Gesù, abbandona sé stesso nelle sue mani. “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Sono le parole della croce, quelle capace di confermare il continuo affidarsi a Dio. L’immagine è potente se pensiamo a quelle di Gesù che sono mani di perdono e di compassione, di guarigione, di misericordia, di solitudine. Mani di amicizia e di benedizione. Nonostante questo buio e questa solitudine assoluta.

Il buio

Forse Luca allude al potere del male, “all’ora delle tenebre”, oppure a una condizione meteo, come se la natura partecipasse a nascondere una morte ingiusta, quanto assurda. È l’ora delle tenebre su tutta la terra. Un atto di decreazione, in

vista di una nuova creazione, che ha il suo cuore pulsante in ogni gesto, parola, silenzio e preghiera di Gesù. Un buio che, per contrapposizione alla luce, rimanda agli inizi della creazione, al primo atto creativo: “Sia la luce” Perché vi sia creazione, la luce di Dio avvolge ciò che egli crea e alla conclusione si legge: “Ed ecco, era cosa molto buona”. Da Craddock riporto il commento a seguito: “Le scritture, spesso, testimoniano il coinvolgimento dell’intera creazione in quegli episodi che toccano nel profondo la storia umana. Se le pietre gridano quando i discepoli tacciono, perché il cielo non si dovrebbe rannuvolare quando il Figlio di Dio

pende morente?”

Lo squarcio

Il velo, che separa il Tempio dal Santo dei Santi, viene meno. Un velo è squarciato, quindi, che non nasconde più, non separa più Dio dagli uomini, ma mette questi, indistintamente, in comunione con Dio (At 10,34-35) e tra loro.

Il grido

Il grido di Gesù, secondo Luca è la consegna del suo spirito nelle mani del suo creatore. La cifra qui non è la rabbia, il dolore, la disperazione, ma incredibilmente, è la fiducia. Una preghiera di fiducia, di abbandono, nonostante gli spasmi del dolore e della morte certa. La potenza di queste ultime parole: “Padre, nelle tue

mani rimetto lo spirito mio.” (Salmo 31,5)

Il centurione

Ed ecco che Luca ci fa misurare con il centurione, uno straniero, un militare nemico: con un’autentica dichiarazione di fede: «Veramente quest’uomo era giusto».

Veramente”. Una sorta di garanzia, che va a rafforzare non soltanto un’emozione legata alla morte dell’uomo giusto, ma il tornare alla convinzione tramandata dai pastori, che divennero testimoni di una nascita prodigiosa. Sono parole dette sotto la croce, quelle del centurione, non da lontano, con lo sguardo dentro e sgomento a un corpo giustiziato. Questa morte è uno scandalo, non ha parole di accusa, o di maledizione.

Giuseppe d’Arimatea

Tutto è irrimediabilmente perso. Tutto era finito conficcato a quella croce. Ma proprio nel cuore del dramma, comincia a germogliare qualcosa d’inatteso. Quella presenza delle donne e poi Giuseppe d’Arimatea che va da Pilato a pretendere il corpo di Gesù. Nessuno avrebbe messo in conto che un gesto così sia il primo movimento inatteso di quella morte. Chi era questo Giuseppe, come viveva la sua fede? Si trattava di un uomo che in seno al Sinedrio godeva di una notevole stima. Che cos’è che all’improvviso lo fa uscire allo scoperto, nel momento in cui sarebbe stato senz’altro più prudente restare nascosto vista l’aria che tirava da quelle parti. Dov’erano i discepoli della prima ora? Ci sono momenti in cui è necessario superare la logica della tutela dei propri interessi e correre il rischio di esporsi? Ma che forza ci vuole? Giuseppe offre una tomba nuova, si occupa del corpo. Tutto ciò che è rimasto di Gesù, è soltanto un corpo. Ed è attorno a questo corpo che Luca accentra ora l’attenzione con tre movimenti: è tolto dalla croce, poi avvolto in un lenzuolo, infine deposto in una tomba scavata nella pietra, dove nessuno mai è stato posto prima.

Conclusione

Luca, forse, sta mettendo le premesse del dopo Gesù, della risurrezione e delle conseguenze che questa ha avuto sull’evento Gesù e su quanto si espresse con lui, cercando di farne comprendere, in una fede adulta, l’importanza storica.

Momento di silenzio

Seconda lettura

Luca 24, 13-35

13Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, 14e conversavano di tutto quello che era accaduto. 15Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. 21Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro 23e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto».
25Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! 26Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. 32Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». 33E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». 35Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Commento di Carla De Stefani

Il racconto dell’incontro tra Gesù risorto e i due discepoli in cammino verso Emmaus è stato sapientemente collocato da Luca nell’ultimo capitolo del suo vangelo, che vuole significare una conclusione e nello stesso tempo un’apertura della narrazione che proseguirà negli Atti degli apostoli. Proprio la seconda parte dell’opera lucana, gli Atti, sarà un’interpretazione, una spiegazione dell’opera di Gesù e, nel contempo, la narrazione degli eventi avvenuti nel ricordo delle sue parole.

Quando Gesù fu catturato, i discepoli fuggirono tutti per la paura, lo scoramento, e qualcuno tra di loro fu anche tentato di abbandonare la comunità. Sono passati ormai tre giorni, dunque Gesù è morto per sempre, e la loro vita sembra non avere più senso, direzione, fondamento.

È la condizione in cui spesso veniamo a trovarci anche noi, e per questo l’anonimato di uno dei due discepoli ci aiuta a collocarci all’interno del racconto…

Ecco, infatti, che due di loro partono da Gerusalemme, lasciano gli altri e vanno verso il villaggio di Emmaus, dove forse vi era la loro casa. Sono delusi, pieni di tristezza, ma conversano, dialogano, scambiano parole, riandando agli eventi di cui erano stati testimoni: cattura, condanna e crocifissione di Gesù. Tutto sembra loro un fallimento e grande è la frustrazione delle loro speranze riposte in Gesù: l’avevano seguito credendo in lui, ascoltandolo, ma la sua morte è stata veramente la fine per lui, per la sua comunità, per l’attesa di ogni discepolo.

Il loro è un camminare privo di fiducia e di speranza. Lungo la strada parlano degli eventi successi in quei giorni, la fine del profeta che avevano seguito, è finita una vicenda che li ha coinvolti, in loro regna la confusione.

Sembrano non ricordare le parole di Gesù, quella convinzione che avevano sperimentato, nella vita di ognuno può avvenire una regressione, una de-vocazione; in quei discepoli vediamo noi stesi in certe ore della nostra vita, incapaci di riconoscere la via.

Ma su quel cammino ecco apparire un altro viandante che si accosta ai due e pone loro delle domande. Non si avvicina con un messaggio da proclamare, ma con il desiderio di ascoltare quel dialogo, di comprendere cosa i due hanno nel cuore, di accompagnarli. Innanzitutto chiede loro: “Che cosa sono questi discorsi che fate camminando, pensosi?”. In risposta, Gesù – di cui per il momento solo il lettore conosce l’identità – ascolta un racconto pieno di affetto per il loro rabbi: ascolta quello che è successo, ascolta ciò che dicono su di lui, ascolta le loro speranze deluse, e solo alla fine li interroga con molta delicatezza sulla loro fede, sul loro affidamento alle Scritture. Non vuole forzare le loro menti e i loro cuori, vuole che inizino in se stessi un processo, loro pensano al fallimento, al nonsenso che li ha colti, raccontano la cronaca di un fallimento. Non sono capaci di essere discepoli e inviati, come Gesù aveva chiesto loro d’essere. Anche loro aspettavano un messia

liberatore vittorioso.

Gesù li rimprovera, cerca di risvegliarli, li porta dalle parole alla Parola, chiede una fede capace di pensare, davanti a Dio, Gesù non li rimprovera perché non lo riconoscono, li rimprovera per la loro assenza di fede e di passione, per aver dimenticato le scritture; i discepoli sembrano non capire, ma insistono perché lui resti.

Giunti a casa, il misterioso viandante sembra voler proseguire da solo, ma i due, che stando accanto a Gesù hanno imparato da lui almeno l’attenzione per gli altri, si mostrano ospitali. E nello stesso tempo forse si sentono rassicurati all’idea che qualcuno passi la notte con loro.

Quando il cammino sembra finire in un vuoto senza via d’uscita, in loro si risveglia la carità ospitale che forse avevano imparato da Gesù, e lui accetta.

Per questo insistono: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno ormai è al tramonto”. E così il viandante rimane con loro, entra nella loro casa.

Gesù viene riconosciuto quando il pane viene condiviso, così si diventa figli dello stesso Dio, Gesù diventa visibile solo nel pane che si spezza, nella communirà che si fa pane per gli altri.

Sono stati attirati dalle sue parole e la tavola diventa il luogo della condivisione e dallo spezzare il pane (il gesto del capofamiglia ebreo) lo riconoscono e tornano alla comunità che avevano abbandonato per testimoniare Gesù, è un movimento di conversione di ritorno ai fratelli sorelle riconosciuti tali.

Ciascuno di noi a volte percorre un cammino oscuro, il racconto ci dice che dalla notte si può andare verso la luce, la strada però dobbiamo percorrerla noi, facendo i conti con l’assenza di speranza, con il fallimento; la ricerca di senso abita il cuore umano, non può inaridirsi per sempre, questa è la ricerca di senso che ciascuno di noi intraprende nella sua vita, ma è camminando che si apre il cammino, decisivo è alzarsi e camminare.

I primi cristiani erano chiamati quelli sulla strada, camminare è uscire da per andare verso.

I discepoli usciti dal chiuso, incontrano uno sconosciuto e lo ascoltano, camminare insieme è un tempo mai perduto, perché è un tempo di reazione e di comunione e dalla strada si passa all’ospitalità che riconosce all’altro la dignità di divenire compagno, cum panis, il pane condiviso.

Commento di Maria Grazia Bondesan

In questo brano la Comunità di Luca vuole rappresentare il cammino interiore che i discepoli hanno dovuto compiere prima di ritrovarsi e riprendere a diffondere il messaggio di Gesù. Pian piano hanno preso consapevolezza che Dio non aveva abbandonato Gesù nella morte, ma che gli aveva dato una vita nuova presso di sé. Per questo nasce il genere letterario delle apparizioni, non dobbiamo confondere la fede con la fisicità.

Essi avevano vissuto la morte atroce di Gesù come una grande sconfitta, chissà quanto tempo ci sarà voluto prima di riprendere ad incontrarsi e a maturare il fatto che Gesù era vivo presso Dio...

Il cammino dei discepoli può essere paragonato al cammino che compiamo durante la nostra vita, succedono tanti avvenimenti, incontriamo tante persone, a volte cadiamo nello sconforto, ma la sola certezza che maturiamo, cammin facendo, è quella che Dio non ci abbandona mai, Egli è la compagnia della nostra esistenza, come dice il salmo è la Roccia a cui possiamo appoggiarci.

Alcune piccole osservazioni sul testo:

  • I discepoli erano in due. In due è sempre meglio: ci si sostiene, si affrontano meglio gli inciampi del cammino.

  • Riconoscono Gesù nello spezzare il pane. Questo gesto che noi compiamo durante l’Eucarestia ci ricorda che solo nel condividere sta la nostra vera felicità e che questa è la volontà di Dio: spezzare il cibo, il tempo il nostro denaro, l’ascolto, l’accoglienza…

  • Ma riconoscere Gesù in quel gesto significa anche che, quando noi riusciamo a compierlo, Dio ci aiuta e ci sostiene perché sa che siamo creature fragili.

  • Inoltre si nominano le Scritture… “Non ci ardeva il cuore nel petto quando lungo il cammino ci spiegava le Scritture?” ecco l’importanza vitale della lettura biblica nei nostri gruppi comunitari.

  • In questo brano mi pare di leggere il programma delle Comunità di allora e anche di quelle di oggi: il ritrovarsi, la condivisione intesa come pratica della giustizia, lo spezzare il pane, inteso anche come preghiera e lettura della Bibbia.

Vorrei riprendere brevemente un articolo di Recalcati apparso su Repubblica di questi giorni intitolato: “ALZATI E CAMMINA, una risurrezione laica”.

In questo articolo sostanzialmente ci ricorda che la vita è più forte della morte e che noi dobbiamo combattere contro questo desiderio che stranamente è insito in noi stessi.

La parola ebraica che Gesù usa è Kum! per far risvegliare Lazzaro avvolto nelle bende, ma è anche Kum la parola che Dio rivolge a Giona per mandarlo in missione a Ninive…

Inoltre Recalcati scrive che se la resurrezione non può pretendere di liberare la vita dalla morte, essa può invece liberare la vita dalla paura paralizzante della morte e dalla sua tentazione, perché la paura della morte ci priva della gioia infinita della vita e può nascondere la paura della vita stessa.

E’ necessario testimoniare che non tutto è morte, non tutto è devastazione, non tutto è destinato a finire, che risorgere è un compito della vita ed è il segreto della parola Kum!

Nonostante l’apparenza abbiamo sperimentato che i momenti più fecondi di una vita, anche della nostra, sono quelli in cui la crisi, il fallimento ci hanno attraversato, ma proprio da questi momenti sono risorte nuove speranze e nuove decisioni che hanno dato alla nostra vita vera una svolta.

Anche i discepoli di Emmaus si sono alzati e si sono messi in cammino e ci invitano a farlo!

Momento di silenzio

Canto 2

Memoria della Cena

P. Preghiera di comunione

Comunione

Interventi liberi e preghiere spontanee


Canto 3

Poesia finale


All’alba il dolore è stanco

All’alba il dolore è stanco, il corpo si abbandona sulla terra umida.

Lento dalla ferita sorge il sole, mentre la notte ha già preso il largo su una scialuppa di fortuna.

Forse questa giornata approderà su un colle e gli uomini si chineranno a raccogliere frutti di generazioni mandate al sacrificio.

Sono venuto nel tuo paese con il cuore in mano, espulso dal mio.

Un po’ volontariamente e un po’ per bisogno sono venuto.

Siamo venuti per guadagnarci da vivere, per salvaguardare la nostra sorte.

Guadagnare il futuro dei nostri figli, l’avvenire dei nostri anni già stanchi,

Guadagnarci una prosperità che non ci faccia vergognare.

Il tuo paese non lo conoscevo.

E’ un immagine… un miraggio, credo, ma senza sole…

Siamo arrivati qui ad informare, con un canto di follia nella testa.

E già la nostalgia e i frammenti del sogno… sopravviviamo tra l’officina o il cantiere e i pezzi del sogno, il nostro cibo, la nostra dimora.

Dura l’esclusione, rara la parola, rara la mano tesa.

Tahar Ben Jelloun

Canto 4

Pinerolo 4/4/2023 (a cura delle comunità di Piossasco e Pinerolo)