La folle corsa del governo Meloni verso il gas
26.07.23 - Mario Pizzola - Pressenza
Fare dell’Italia un Hub europeo del gas: questa l’ossessione del governo Meloni. Come se fossimo all’inizio del 2000, quando i consumi di metano erano dati in ascesa; e non al 2023, quando gli eventi meteo estremi stanno diventando normalità, con la scia dei disastri da essi provocati, e ci impongono di abbandonare da subito l’uso dei combustibili fossili.
Ma tant’è: il governo ha la testa rivolta al passato. Infatti, quello
varato porta l’anacronistico nome di Piano Mattei, un bel salto indietro
di 70 anni.
Il nuovo governo aveva raccolto l’eredità di quello Draghi che, cogliendo al balzo la guerra in Ucraina, aveva deciso di installare due nuovi rigassificatori a Piombino e a Ravenna, e di tirare fuori dai cassetti nuovi metanodotti, primo tra tutti il grande gasdotto Linea Adriatica di 430 chilometri da Sulmona a Minerbio.
Il nuovo governo aveva raccolto l’eredità di quello Draghi che, cogliendo al balzo la guerra in Ucraina, aveva deciso di installare due nuovi rigassificatori a Piombino e a Ravenna, e di tirare fuori dai cassetti nuovi metanodotti, primo tra tutti il grande gasdotto Linea Adriatica di 430 chilometri da Sulmona a Minerbio.
Il
tutto giustificato dal presupposto, poi rivelatosi totalmente errato,
che la riduzione e poi l’interruzione del flusso di metano dalla Russia
avrebbe esposto l’Italia al rischio di restare a corto di gas.
La realtà ha smentito tale narrazione, fortemente alimentata dall’Eni e dalla Snam. Infatti il 2022 si è chiuso non soltanto con nessuna sofferenza energetica ma addirittura con l’esportazione dall’Italia verso l’estero di ben 4 miliardi e 600 milioni di metri cubi di gas, una quantità mai registrata in passato.
La realtà ha smentito tale narrazione, fortemente alimentata dall’Eni e dalla Snam. Infatti il 2022 si è chiuso non soltanto con nessuna sofferenza energetica ma addirittura con l’esportazione dall’Italia verso l’estero di ben 4 miliardi e 600 milioni di metri cubi di gas, una quantità mai registrata in passato.
In un solo anno il consumo di gas è
crollato di 8 miliardi e 500 milioni di metri cubi, passando dai 76
miliardi di m.c. del 2021 ai 68 miliardi e mezzo del 2022. Questa
tendenza è confermata dal fatto che nei primi cinque mesi del 2023 i
consumi italiani sono scesi di un ulteriore 13,4 per cento rispetto allo
stesso periodo dello scorso anno.
Si tratta di un risultato che è stato possibile grazie al fatto che l’Italia ha la più elevata diversificazione delle fonti di ingresso di metano in Europa e la più grande capacità di stoccaggio del gas: attraverso i quattro metanodotti di importazione (escluso quello russo) e i tre rigassificatori esistenti il nostro Paese ha superato agevolmente la crisi. Non solo, attualmente gli stoccaggi sono pieni per oltre l’80 per cento, con mesi di anticipo rispetto al 2022.
Questa situazione, che ha smentito ogni più fosca, e interessata, previsione ha forse indotto il governo a cambiare i suoi piani? Macché, non solo il governo conferma le decisioni precedenti ma rilancia: non più due nuovi rigassificatori ma quattro, a Piombino e Ravenna si aggiungono Gioia Tauro e Porto Empedocle. Non basta aumentare i flussi dall’ Algeria ma è necessario raddoppiare la portata del Tap e occorrono nuovi gasdotti: così viene resuscitato il grande metanodotto EastMed-Poseidon, di 1900 chilometri, da Israele a Otranto e viene messo in pista anche un nuovo metanodotto dall’Algeria alla Sardegna con approdo a Piombino. In lista d’attesa, tanto per non farsi mancare nulla, anche un nuovo gasdotto da Barcellona a Livorno.
Se tutti questi progetti dovessero andare in porto, l’Italia entro il 2030 potrebbe avere una capacità potenziale di importazione (Russia esclusa) di 140/150 miliardi di metri cubi di gas; mentre a quella data i consumi del nostro Paese sarebbero di non più di 50 miliardi di m.c. L’associazione di Confindustria Elettricità Futura ha infatti calcolato che da oggi al 2030, con un ulteriore sviluppo delle energie rinnovabili di 85 GW, si potrebbero risparmiare 160 miliardi di metri cubi di gas (mediamente 20 l’anno) con minori costi di importazione di 110 miliardi di euro e la creazione di 540 mila posti di lavoro.
Di fronte a questo vero e proprio boom di gas i vari ministri, da Pichetto Fratin a Urso, esultano: “L’Italia rifornirà di metano l’intera Europa, diventeremo la locomotiva energetica del continente”. Ma su quali basi poggiano le convinzioni del governo Meloni? Quali sono gli elementi dai quali desumere che nel prossimo futuro ci sarà un tale bisogno di gas da giustificare la messa in cantiere di tutte queste nuove infrastrutture metanifere? E chi ne pagherà i costi?
Il sogno di diventare il primo fornitore di gas dell’Europa in realtà è scritto sulla sabbia, e questo per due ragioni: innanzitutto a sbarrare la strada all’Italia (leggi Eni e Snam) vi sono concorrenti molto agguerriti, e con maggiori possibilità del nostro Paese, come la Spagna, la Norvegia e la Turchia; in secondo luogo, ed è il problema maggiore, tutte le previsioni indicano per il futuro un deciso calo dei consumi di gas, non solo in Italia ma nell’intera Europa.
Infatti, l’impatto del Repower EU determinerà una riduzione della domanda di gas in Europa di circa il 40 per cento al 2030. Un recente studio della compagnia Oil&Gas BP va anche oltre, prevedendo un calo della domanda europea di metano del 50 per cento rispetto al 2019. L’istituto statunitense per l’economia dell’energia e l’analisi finanziaria (Ieefa) ha stimato che al 2030 in Europa ci sarà una eccedenza delle infrastrutture per il gas naturale liquefatto (GNL): a quella data la capacità dei terminali supererà i 400 miliardi di metri cubi, ma la domanda sarà di molto inferiore, tra i 150 e i 190 miliardi di m.c.
Questo significa che ci sarà un forte squilibrio tra domanda e offerta di gas, il che potrebbe portare a una capacità inutilizzata di 200-250 miliardi di m.c. con la conseguenza che molti impianti saranno stranded, cioè improduttivi, e una montagna di denaro investita nel settore sarà andata in fumo. A pagarne le spese, però, saranno i cittadini italiani attraverso la bolletta energetica, che per 40/50 anni includerà i costi di ammortamento di queste inutili e dannose infrastrutture fossili. Qualora il governo riuscisse a far inserire una parte di tali impianti nel Pnrr, a pagare saranno sempre i cittadini e soprattutto le future generazioni, perché buona parte dei finanziamenti del Pnrr sono a debito e andranno restituiti.
Mario Pizzola
Si tratta di un risultato che è stato possibile grazie al fatto che l’Italia ha la più elevata diversificazione delle fonti di ingresso di metano in Europa e la più grande capacità di stoccaggio del gas: attraverso i quattro metanodotti di importazione (escluso quello russo) e i tre rigassificatori esistenti il nostro Paese ha superato agevolmente la crisi. Non solo, attualmente gli stoccaggi sono pieni per oltre l’80 per cento, con mesi di anticipo rispetto al 2022.
Questa situazione, che ha smentito ogni più fosca, e interessata, previsione ha forse indotto il governo a cambiare i suoi piani? Macché, non solo il governo conferma le decisioni precedenti ma rilancia: non più due nuovi rigassificatori ma quattro, a Piombino e Ravenna si aggiungono Gioia Tauro e Porto Empedocle. Non basta aumentare i flussi dall’ Algeria ma è necessario raddoppiare la portata del Tap e occorrono nuovi gasdotti: così viene resuscitato il grande metanodotto EastMed-Poseidon, di 1900 chilometri, da Israele a Otranto e viene messo in pista anche un nuovo metanodotto dall’Algeria alla Sardegna con approdo a Piombino. In lista d’attesa, tanto per non farsi mancare nulla, anche un nuovo gasdotto da Barcellona a Livorno.
Se tutti questi progetti dovessero andare in porto, l’Italia entro il 2030 potrebbe avere una capacità potenziale di importazione (Russia esclusa) di 140/150 miliardi di metri cubi di gas; mentre a quella data i consumi del nostro Paese sarebbero di non più di 50 miliardi di m.c. L’associazione di Confindustria Elettricità Futura ha infatti calcolato che da oggi al 2030, con un ulteriore sviluppo delle energie rinnovabili di 85 GW, si potrebbero risparmiare 160 miliardi di metri cubi di gas (mediamente 20 l’anno) con minori costi di importazione di 110 miliardi di euro e la creazione di 540 mila posti di lavoro.
Di fronte a questo vero e proprio boom di gas i vari ministri, da Pichetto Fratin a Urso, esultano: “L’Italia rifornirà di metano l’intera Europa, diventeremo la locomotiva energetica del continente”. Ma su quali basi poggiano le convinzioni del governo Meloni? Quali sono gli elementi dai quali desumere che nel prossimo futuro ci sarà un tale bisogno di gas da giustificare la messa in cantiere di tutte queste nuove infrastrutture metanifere? E chi ne pagherà i costi?
Il sogno di diventare il primo fornitore di gas dell’Europa in realtà è scritto sulla sabbia, e questo per due ragioni: innanzitutto a sbarrare la strada all’Italia (leggi Eni e Snam) vi sono concorrenti molto agguerriti, e con maggiori possibilità del nostro Paese, come la Spagna, la Norvegia e la Turchia; in secondo luogo, ed è il problema maggiore, tutte le previsioni indicano per il futuro un deciso calo dei consumi di gas, non solo in Italia ma nell’intera Europa.
Infatti, l’impatto del Repower EU determinerà una riduzione della domanda di gas in Europa di circa il 40 per cento al 2030. Un recente studio della compagnia Oil&Gas BP va anche oltre, prevedendo un calo della domanda europea di metano del 50 per cento rispetto al 2019. L’istituto statunitense per l’economia dell’energia e l’analisi finanziaria (Ieefa) ha stimato che al 2030 in Europa ci sarà una eccedenza delle infrastrutture per il gas naturale liquefatto (GNL): a quella data la capacità dei terminali supererà i 400 miliardi di metri cubi, ma la domanda sarà di molto inferiore, tra i 150 e i 190 miliardi di m.c.
Questo significa che ci sarà un forte squilibrio tra domanda e offerta di gas, il che potrebbe portare a una capacità inutilizzata di 200-250 miliardi di m.c. con la conseguenza che molti impianti saranno stranded, cioè improduttivi, e una montagna di denaro investita nel settore sarà andata in fumo. A pagarne le spese, però, saranno i cittadini italiani attraverso la bolletta energetica, che per 40/50 anni includerà i costi di ammortamento di queste inutili e dannose infrastrutture fossili. Qualora il governo riuscisse a far inserire una parte di tali impianti nel Pnrr, a pagare saranno sempre i cittadini e soprattutto le future generazioni, perché buona parte dei finanziamenti del Pnrr sono a debito e andranno restituiti.
Mario Pizzola