giovedì 20 luglio 2023

LA GRAZIA A ZAKI

 LA GIOIA E IL BARATTO

DI  CARLO BONINI

Il provvedimento di grazia che restituisce la libertà a Patrick Zaki è una bellissima notizia. Innanzitutto per il giovane Patrick, evidentemente, e per le persone che ama e che gli sono state accanto in questo infinito e ingiusto calvario. E lo è anche per quella composita e trasversale opinione pubblica nel nostro Paese che, a Bologna e altrove, si è sentita vittima dello stesso intollerabile sopruso consumato su Zaki e per questo ha lottato e fatto sentire la sua voce per tenerne salda nell’agenda politica la vicenda umana, giudiziaria, politica. E tuttavia, come spesso è accaduto in questi anni, quando ci si deve misurare con l’Egitto di Abdul Fattah al Sisi e le sue mosse sghembe, i “doni” che arrivano dal Cairo meritano di essere letti non solo per ciò che sono ma anche per ciò che dichiarano e promettono di essere.

La grazia a Zaki – come raccontiamo oggi nelle pagine del nostro giornale – è un atto politico che parla all’Italia. Esattamente come politica era stata la sua illegittima cattura e l’altrettanto illegittima carcerazione e processo cui era stato strumentalmente sottoposto per farne un ostaggio nelle relazioni tra Roma e il Cairo, terremotate dal caso Regeni. La scommessa politica e diplomatica che cinicamente l’Egitto aveva fatto sul caso Zaki era stata quella di replicare emotivamente, in un osceno déjà vu, la crisi prodotta dal sequestro, tortura e omicidio di Giulio Regeni. In un gioco di specchi dalle premesse e i protagonisti sovrapponibili di cui solo l’esito sarebbe dovuto essere diverso. Per dimostrare all’Italia, “Paese amico”, che la morte dell’uno, Giulio, non aveva avuto l’imprinting politico che, al contrario, avrebbe assicurato la vita e la libertà al secondo, Patrick. Questo era il cuore dell’accordo chiuso già un anno fa dal governo Draghi con l’Egitto e questo ne è l’esito che viene oggi raccolto dal governo Meloni.


Le regole e il linguaggio della diplomazia non prevedono, almeno nella forma, scambi triviali. E tuttavia a nessuno a Roma era sfuggito un anno fa e sfugge oggi la conseguenza di cui l’Egitto carica il suo provvedimento di “clemenza”. E cioè che altrettanta “amicizia” e generosità l’Italia voglia ora dimostrare nel chiudere per sempre la vicenda che vede imputati in contumacia quattro agenti dell’Intelligence egiziana nel processo per omicidio di Giulio Regeni. Un processo che l’ostruzionismo di al Sisi rende oggi non celebrabile. A meno di pronunce di incostituzionalità o di interventi legislativi che modifichino il regime delle norme che disciplinano la validità delle notifiche a cittadini di un Paese straniero imputati di fronte alla giustizia italiana. La questione, dunque, è ora nelle mani di Roma. L’Egitto ha fatto la sua mossa e si aspetta – come riferiscono autorevoli fonti diplomatiche di quel Paese – che l’Italia dimostri la stessa amicizia con il Cairo che dimostra quando si siede al tavolo in cui si discute di flussi migratori e di aiuti alimentari per far fronte alla carestia che piega l’Egitto. Converrà dunque essere chiari. Innanzitutto con Giorgia Meloni, che ieri ha voluto rivendicare a sé il successo politico della liberazione di Zaki con un videomessaggio. La liberazione di Zaki non può e non deve trasformarsi in un baratto con la richiesta di verità e giustizia della famiglia di Giulio Regeni. Se davvero, come dice, la premier è dal novembre scorso che dialoga con al Sisi della clemenza per Zaki, la stessa premier converrà che, con altrettanta amicizia e resilienza, l’Italia sia ora ancor più legittimata a chiedere conto del crimine orrendo di cui si sono macchiati i funzionari dell’Intelligence egiziana sequestrando, torturando e uccidendo un giovane e innocente ricercatore italiano.

Con un Paese “amico” come oggi l’Egitto si dichiara con l’Italia siamo certi che Giorgia Meloni si spenderà di qui in avanti senza sosta per spiegare che la sovranità del nostro Paese (e dunque il diritto a celebrare un processo per un reato di cui è stato vittima un suo giovane cittadino) non è negoziabile. E siamo certi che l’ineffabile ministro di Giustizia Nordio vorrà dedicare un briciolo del suo tempo a ragionare, da cultore delle garanzie quale dichiara di essere, di come portare a termine il percorso avviato dalla ex ministra Cartabia per la modifica di norme il cui principio di garanzia è stato sin qui invocato dall’Egitto per ottenere il paradossale esito dell’impunità. E questo per non trasformare un pomeriggio di gioia, nella premessa di un giorno di vergogna.