" A Zuppi e alla Chiesa dico: ribelliamoci alle 'sante armi' "
"La Sardegna è una vetrina della Nato
E i mercanti di bombe contano più degli stati"
Don Roberto Sciolla è un "prete operaio", sacerdote di Iglesias, in Sardegna. Uomo di pace e punto di riferimento di una comunità, quella del Sulcis, che conosce le sfide dell'arretratezza e della fragilità sociale. Sciolla è anche tra i protagonisti del comitato contro la fabbrica della Rwm a Domusnovas: era l'industria della vergogna, delle bombe calate sui civili in Yemen, ora è "santificata" come una preziosa risorsa europea per rifornire la resistenza ucraina. Lunedì ha inviato una lettera al cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, per chiedere l'aiuto di tutta la Chiesa: "Non sarebbe il caso che non solo il Papa, non solo il suo inviato per la pace, ma tutti i Vescovi, ogni Diocesi, ogni Parrocchia, levino diffusamente la voce contro questa aberrazione?".
Tra fabbriche e servitù militari, la Sardegna è un epicentro della Nato del Mediterraneo?
È così e non da oggi: siamo diventati una vetrina di armi. Invece di riconvertire le strutture militari in civili, si fa il contrario. L'rwm, ad esempio, aveva rilevato una piccola realtà che produceva esplosivi usati nel settore minerario. La riconversione è proceduta per gradi, a piccoli passi, con molta attenzione a occultare il processo. C'è il ricatto dell'occupazione: "noi diamo lavoro", dicono. È facile, in un territorio che è precipitato in fondo a tutte le graduatorie socioeconomiche. Ma qui ci sarebbero tante e ben altre prospettive di sviluppo: turismo, storia, archeologia industriale, agricoltura. Il materiale non mancherebbe.
Il mondo corre da un'altra parte. Sulle armi non si fa solo profitto, ma retorica.
Gli altoparlanti della retorica non appartengono alle associazioni di base, certo, ma a ben altri poteri. Il mondo va altrove, ma non so chi sia a governarlo. Forse petrolieri, mercanti d'armi, fondi di speculazione finanziaria; ci sono interi Stati che hanno bilanci inferiori a quelli di società private multinazionali.
La sua esperienza dimostra che c'è chi resiste.
Per resistere, resistiamo. Faccio parte del comitato contro la Rwm dalla nascita, siamo al sesto anno. Unisce persone di estrazioni religiose, civili, lavorative molto diverse. Poi, cosa vuole che le dica... il contesto è difficile. La società sembra costruita per non essere davvero democratica: meno si pensa, meglio è; l'importante è che si acquisti, si appaia, si voti al momento opportuno. Purché non si sviluppi un pensiero critico e non si incida davvero. Però glielo concedo: il comitato è una bella realtà di resistenza. È una grande fatica, ma c'è la fantasia dell'unire.
Qual è per lei il bilancio della missione di pace del cardinale Zuppi?
Lui stesso ha detto che in questa prima fase gli obiettivi erano soprattutto umanitari. Che devo dirle? Siamo nell'ambito della speranza cristiana (sorride)… e lì ci fermiamo. È importante che il Papa voglia ascoltare tutti e non solo qualcuno. Obiettivamente è un cammino molto, molto in salita.
Come riesce a parlare di pace, in un contesto in cui chi non aderisce perfettamente alla versione occidentale diventa amico di Putin?
È una semplificazione assurda, come se si trattasse di tifare per l'uno o per l'altro. L'obiettivo è la pace: non c'è alternativa. Le altre vie sono gli affari, il commercio, le sfere di influenza politica e geopolitica. Cosa è l'Ucraina oggi? Un Paese distrutto. Non c'è strada diversa dalla pace, a costo di essere chiamati filoputiniani. Come poi se l'Occidente fosse innocente.
Il pacifismo italiano fatica a trovare continuità d'azione e di intenti. La politica sembra distratta, incapace di rappresentare un sentimento che tra le persone è maggioritario. Perché?
Credo sia la conseguenza naturale di quello che dicevo prima: non abbiamo più riferimenti solidi nei partiti o nelle scuole di formazione. Mancano in ambito politico e civile, ma pure, devo dirlo, in ambito ecclesiale. La mia lettera a Zuppi voleva essere uno stimolo in tal senso: serve un movimento forte, unito e convergente a livello di base. Forse così avremmo risultati più efficaci.
Tommaso Rodano
Il Fatto Quotidiano, 15 luglio