Il mito del Concilio
Il mito del Concilio: andare oltre
Il grande mito è il Concilio: ad esso, ispiratore e termine di verifica della riforma, tutti si rifanno.
Sembra che il Concilio sia la miniera di diamanti nella quale precipitarsi per estrarre materiali di costruzione della chiesa di domani.
Così si corre il rischio di mitizzarlo, farne l'assoluto senza vedere le ambiguità da risolvere e le premesse da superare. Fare del Concilio il <<manifesto della chiesa>> è la sicura maniera di tradirlo nella lettera e nello spirito.
Nessuno qui, è ovvio, intende negare o minimizzare l'apporto del Concilio. Si vuole soltanto dire che esso va relativizzato, assunto come un momento significativo nella vita della chiesa.
Diversamente gli si fa perdere la sua funzione di stimolo perché la si cristallizza. Esso va superato, reinterpretato nella libertà dei figli di Dio che vivono in situazioni nuove, confrontato con i nuovi appelli di Dio nel concreto delle chiese cristiane e della storia.
E' innanzitutto necessario sottolineare lucidamente l'ambiguità del Concilio Vaticano II: ciò non stupisce se si riflette che esso è stato un fatto di vertice della chiesa. Sacerdoti e laici non hanno avuto infatti pressoché alcun ruolo, a tal punto che l'elaborazione conciliare è in gran parte un prodotto della classe dominante della chiesa.
Questo mio scritto, comparso nel 1975, cioè 49 anni fa, rimase due anni (1973-74) nel cassetto, dopo numerosi rifiuti tra i quali quello della Cittadella Editrice. Ancora oggi mi stupisco della lucidità dell'analisi, se penso che la sua elaborazione avvenne in rattoppi di tempo tra 1971-72.
Nell'enfatica stagione del Concilio (1963-65) esistevano pur delle voci che mettevano in guardia
da queste semplificazioni (Ramos-Regidor e Fausto Tortora, Kung, Schillebeeckx e altri), ma il "coro" era piuttosto esultante.
Sarà così del Concilio di ottobre 2024 e del Giubileo del 2025?Mi sembrano strade illusorie, e spero di sbagliarmi.
22 luglio 2024 - Franco Barbero