PAROLE A MARGINE. Ipocrisia
Marco Campedelli
Adista Segni Nuovi 08/07/2023
Mettiti una maschera, sceglila tra le tante. Così potrai apparire ciò che non sei, quello che gli altri desiderano che tu sia. Cosi c’è chi per tutta la vita cerca di essere quello che non è, recita una parte.
Pirandello
lo ha detto bene nel Fu Mattia Pascal. “Conosci te stesso” è scritto
invece nel tempio di Apollo a Delfi, monito per chi vuole scoprire il
proprio segreto. “Nascondi te stesso”, metti la maschera, sembra scritto
nei piccoli templi di una società smemorata e ipocrita.
Maschera e
ipocrisia sembrano richiamarsi. Maschera anticamente significava
persona. L’attore grazie alla maschera amplificava la sua voce, che in
quel modo “per-suonava”, “risuonava” nel teatro antico. Le maschere, i
caratteri, i personaggi in realtà definivano, davano identità. Poi via
via, la maschera divenne sinonimo di ciò che è falso, del modo ipocrita
di vivere la vita. Il Teatro del Novecento, con Artaud, ha ribaltato la
prospettiva: il Teatro come luogo della verità.
Arriva a dire che là
dove le Chiese e le religioni avessero fallito, per non essere state in
grado di mostrare l’Invisibile, sarebbero stati i Teatri a rivelarlo. Il
Teatro dunque, come luogo in cui si tolgono le maschere, rivelando la
verità nuda del volto. La società borghese è la grande scuola
dell’ipocrisia. Ha insegnato a mascherare i corpi, le parole,
soprattutto i sentimenti, la società, la religione. Cosi ha confezionato
una grande maschera sociale, che nasconde le proprie fragilità e mostra
ciò che non si è.
Ma rimane sempre attivo il principio originario della maschera: che nasconde e rivela. Cosi mentre mostra la parte falsa del sé ne rivela infine la tragica, patetica inconsistenza.
Giorni fa a Milano si è esibita la maschera sociale dell’ipocrisia, in un tempio solenne come il Duomo. Come alla “Prima della Scala” , è andato in onda lo spettacolo dei pianti di coccodrillo, delle passerelle in doppio petto, delle ciprie, delle sacre e impresentabili convenienze.
Ma rimane sempre attivo il principio originario della maschera: che nasconde e rivela. Cosi mentre mostra la parte falsa del sé ne rivela infine la tragica, patetica inconsistenza.
Giorni fa a Milano si è esibita la maschera sociale dell’ipocrisia, in un tempio solenne come il Duomo. Come alla “Prima della Scala” , è andato in onda lo spettacolo dei pianti di coccodrillo, delle passerelle in doppio petto, delle ciprie, delle sacre e impresentabili convenienze.
Il
dramma andato in scena ha rivelato la potenza e la persistenza della
bugia collettiva. Un Paese smemorato ha messo in scena il funerale che
ha fatto della maschera il proprio altare. Chi ha indossato la maschera?
Non tanto Lui, il morto, che di maschere ne ha indossate molte, a
seconda della circostanze: per i banchi del parlamento, per i festini,
per gli spot elettorali, per i processi, per le partite come “patron del
Milan”. Quella originaria da crociera.
Perfino la maschera religiosa di
chi vantava una formazione dai Salesiani. La maschera più tragica
l’abbiano indossata “noi”. Intendo il noi” collettivo che costruisce
caparbiamente la propria ipocrisia. Perfino il vangelo, risuonato in
quel tempio, sembrava incagliato sul fondo di una palude, un albatros
azzoppato, nel tentativo, non riuscito, di mostrare in un’omelia
equilibrista che la “virtù sta nel mezzo”. Un funerale di Stato, per un
“Capo” che di Stato non era (Pertini, Cossiga, Scalfaro, Ciampi, che
Capi di Stato lo erano, non vollero quel funerale).
Ma il segreto della
maschera ha funzionato anche stavolta: ha nascosto sì, ma ha anche
rivelato un Paese senza memoria, una processione di devoti che piange il
proprio re da cui ha ricevuto denaro, successo e potere; un coro di
imbonitori che ammira il vestito di un imperatore palesemente nudo. Il
grottesco teatro andato in scena nel Duomo di Milano rivela la nostra
maschera collettiva, la nostra arte mimetica e camaleontica.
Perché se
uno si voltava indietro nel Duomo poteva scoprire che la maschera di
Berlusconi non era quella di cera adagiata su di lui, ma quella
attaccata sulla nostra faccia. Eravamo diventati noi quella maschera. E
non solo lì dentro, ma fuori, in un Paese mascherato. Eravamo tutti dei
piccoli Berlusconi pronti a comprarci persino il Paradiso, se fosse
esistito.
Ci vorrebbe l’impareggiabile ironia di Wislawa Szymborska nella poesia “Funerale”... Ma il devoto borghese recita tutti i giorni la sua preghiera “Dacci la nostra ipocrisia quotidiana”.
Ci vorrebbe l’impareggiabile ironia di Wislawa Szymborska nella poesia “Funerale”... Ma il devoto borghese recita tutti i giorni la sua preghiera “Dacci la nostra ipocrisia quotidiana”.
Il funerale di
Silvio Berlusconi è andato in scena. Rimane la nostra ipocrisia, che non
vogliamo che muoia, per non dover darle poi “degna sepoltura”.