L’ombra dei piromani dietro ai roghi di Corfù. Il sindaco: “Terroristi”
La Repubblica 26/7
Kassiopi (Corfù) - La prima linea della guerra che da dieci giorni la Grecia combatte contro le fiamme, rese incontrollabili dal surriscaldamento del clima, si estende ormai all’intero Mediterraneo e passa tra una lingua di sabbia e la macchia di lecci e ginestre che fino a ieri proteggeva il villaggio di Nissaki, alle pendici del monte Pantokratoras.
Sulla spiaggia migliaia di turisti di tutta Europa resistono al sole e nel mare, pronti a rischiare la vita pur di non interrompere le vacanze in hotel, ville e campeggi di Corfù. Pochi metri più all’interno, e in quota, centinaia di vigili del fuoco lottano invece contro i roghi che inceneriscono la foresta, facendo precipitare frane e massi incandescenti sulla strada e tra gli edifici aggrappati ai versanti rocciosi.
Nell’aria resa irrespirabile da fumo e cenere, volano ormai solo gli elicotteri e gli aerei impegnati a bombardare con l’acqua dello Ionio i focolai fuori controllo. «Questo inferno – dice Yogo Lampros nel suo piccolo market di Katavolos – anticipa la prossima normalità. La natura è in agonia e noi facciamo il massimo per accelerare la catastrofe. Il turismo non si ferma nemmeno se le isole greche bruciano».
Dopo l’incubo delle evacuazioni notturne di massa dalle località aggredite dai roghi, a Corfù, Rodi, Eubea e nel Peloponneso, l’allerta rossa dichiarata dal governo di Atene impone alla popolazione di non avvicinarsi ai luoghi in fiamme. «Sarà un’estate sempre più difficile – avverte il premier Mitsotakis – con la crisi climatica è impossibile resistere».
L’incubo che sta distruggendo un secolare patrimonio ambientale, complici temperature tra 42 e 46 gradi, mobilita però ora in particolare le forze dell’ordine, impegnate in una maxi-caccia ai piromani. Nelle isole di Corfù e Rodi, come a Eubea e ad Agio, non c’è più dubbio: i focolai sono di origine dolosa, accesi da qualcuno deciso a sfruttare surriscaldamento, vento e siccità per cancellare agricoltura e natura, il paesaggio che ha fatto esplodere il turismo mediterraneo.
«Solo terroristi ambientali – dice Giorgos Mahimaris, sindaco di Corfù – possono appiccare incendi di notte, poco sotto quota 900 metri, in tre diversi luoghi quasi inaccessibili e contemporaneamente. Ora sappiamo che al surriscaldamento del clima si aggiunge un nemico nuovo: terroristi folli in lotta contro l’intera società».
Per vedere le conseguenze, a Corfù, basta salire la pista che da Nissaki, attraverso la cima del Pantokratoras, porta a Loutses, nel Nordest dell’isola. Sopra la costa si aprono ora valli immense ridotte in cenere. Dai pendii si alzano decine di colonne di fumo, rari arbusti verdi resistono in un incandescente deserto nero, tempestato dalle frane. In poche ore fiamme alte dieci metri hanno consumato boschi e uliveti secolari. Il caldo è tale che anche decine di aree spente, riprendono a bruciare per i raggi solari che scatenano l’autocombustione.
Amis Vlachos, contadino di Loutses, mostra decine di tronchi carbonizzati. «Erano gli ulivi piantati dai miei avi – dice – trecento anni fa. Le fiamme li hanno divorati in mezz’ora. Il Nord di Corfù sarà irriconoscibile per sempre». Questo, nell’entroterra di Kassiopi, da ieri è l’ultimo villaggio evacuato. Il fuoco nel pomeriggio è arrivato a lambire il mare: i residenti allertati via sms sono fuggiti fino agli autobus inviati a portarli in salvo.
Gli altri 2500 turisti, messi al sicuro nello stadio e dentro il teatro del capoluogo, circoscritti a roghi hanno preteso di riprendere le ferie, o di essere imbarcati su navi e aerei. Anche a Rodi, dove gli sfollati sono quasi 20 mila, il turismo impone l’apparente normalità che suggerisce agli operatori locali di minimizzare il disastro. Nella maggior isola del Dodecaneso gli incendi avanzano però ancora su tre fronti tra Gennada, Asklipio e Laerma.
Tra Egeo e Ionio sono mobilitati 450 vigili del fuoco di otto nazioni Ue, supportati da 4 aerei e 5 elicotteri. Negli ultimi dieci giorni salgono a 500 i roghi in Grecia, 82 ancora attivi. La resistenza adesso è concentrata su Eubea, la grande isola a est di Atene. Sei le località evacuate. Durante la fuga, la tragedia. Un Canadair pilotato da due vigili del fuoco greci, impegnati a spegnare i roghi, è precipitato nelle fiamme sopra le alture di Karystos, scomparendo in un burrone.
«Dobbiamo prendere atto – dice Yannis Artopios, portavoce della protezione civile – che quello esploso è un conflitto senza precedenti. Fino a giovedì avremo picchi di 46 gradi e venti a 50 chilometri all’ora. Sulle isole dell’Egeo e nel Peloponneso occidentale non c’è più acqua, i prati sono paglia. Basta un cerino per trasformare la Grecia in un falò: sta già succedendo, servono rinforzi». Resta l’assalto dei turisti a voli e traghetti, causato dal terrore delle fiamme. Sono migliaia i greci che contestano la linea della trasparenza, accusando autorità e governi stranieri di «gonfiare la realtà» e di «far volare via i clienti in alta stagione».
I roghi estivi, nel Mediterraneo, in effetti, valgono oggi miliardi e minacciano i lasciare deserti i villaggi senza più pescatori, sulle rive di un mare senza pesci. La vita umana in Grecia già si avvicina al limite del non ritorno: Corfù, Eubea e Rodi confermano che anche l’ambiente, ostaggio estremo di piromani criminali, può rivelarsi un’arma spietata.