L’orgoglio Lgbtqi+ che sta cambiando l’Ucraina (e la guerra)
Il Manifesto 31/7
Francesco Brusa
Francesco Brusa
Si dice a volte che Putin con l’invasione dell’Ucraina sta ottenendo esattamente il contrario di ciò che voleva: ora la Russia è ancora più “accerchiata” dalla Nato, dato il recente ingresso della Finlandia nell’alleanza atlantica. Dal canto suo l’Ucraina, che il presidente della Federazione aveva definito nel suo celebre saggio «parte di un’unica entità spirituale» assieme a Mosca, non è mai stata così divisa dal suo vicino come adesso e si è garantita lo status di candidato membro dell’Unione europea. Qualcosa di simile lo si può dire anche del destino dei diritti Lgbt nel paese aggredito: se per benedire la guerra il patriarca Kirill se l’è presa addirittura con i «gay pride imposti dall’Occidente», ecco che per tutta risposta l’orgoglio della comunità Lgbt ucraina sembra aver acquisito nell’ultimo anno e mezzo una visibilità per certi versi inaudita.
«DALL’INIZIO dell’invasione su larga scala, tantissime persone Lgbt nell’esercito sono uscite allo scoperto», ci racconta Antonina Romanova, performer e regista teatrale già in fuga dalla Crimea dopo l’annessione del 2014 che ha ora deciso di unirsi alla resistenza armata. «In Russia, la situazione della comunità Lgbt è di gran lunga peggiore che in Ucraina e il “mondo russo” rappresenta un pericolo per le nostre vite. Il fatto che tanti di noi abbiano scelto di difendere il paese sta contribuendo a far sì che l’atteggiamento della popolazione nei nostri confronti sia più positivo di prima».
UNA TENDENZA confermata dai numeri: uno studio del maggio dell’anno scorso condotto dall’associazione Nash Svit e dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kyiv ha rilevato che quasi il 64% della cittadinanza ucraina è favorevole a garantire pari diritti per le persone Lgbt (un notevole incremento rispetto al 45,2% del 2016), mentre la percezione verso la comunità è negativa per il 38,2% della popolazione (60,4% nel 2016).
Un cambiamento non di poco conto, se si pensa che otto anni fa il pride di Kyiv venne violentemente attaccato con lanci di pietre e fumogeni o che l’anno prima, sempre nella capitale, il cinema Zhovten venne dato alle fiamme durante un festival Lgbt. Ma non si tratta solo di progressi in campo sociale, ora sono in gioco anche conquiste legislative: a marzo è stata infatti presentata alla Verchovna Rada una proposta per ufficializzare le unioni civili. A farsene promotrice Inna Sovsun, deputata del partito liberale Holos (la più piccola forza d’opposizione) e già viceministra dell’educazione e della scienza (la più giovane a ricoprire questo incarico nella storia del paese).
«APPROVARE questa legge ha un’importanza cruciale, soprattutto nel contesto della guerra iniziata dalla Russia contro l’Ucraina», spiega al manifesto Olha Poliakova, direttrice esecutiva dell’associazione ucraina in difesa dei diritti Lgbt Gender Stream (impegnata in progetti di cooperazione anche con alcune realtà femministe italiane, come l’associazione Orlando).
«Rappresenterebbe un significativo passo in avanti nella costruzione di una società in cui tutti i membri sono protetti dallo stato. Inoltre, il provvedimento consente di adempiere agli impegni presi con i nostri partner europei». Oltre al valore simbolico, ci sono poi conseguenze estremamente concrete sia per i civili che per chi milita nell’esercito: non trattandosi di legami ancora riconosciuti a livello ufficiale, se una persona in una relazione omosessuale dovesse rimanere uccisa in battaglia o essere fatta prigioniera di guerra, il suo compagno o lo sua compagna non avrebbe diritto a ricevere alcuna informazione; similmente, in caso di scomparsa di un genitore in una coppia arcobaleno, i figli potrebbero essere affidati a estranei.
NON STUPISCE dunque che la lotta per il riconoscimento delle unioni civili in Ucraina – anticipata da una petizione di KyivPride che vanta oggi oltre 45mila firmatari – abbia ottenuto una grossa spinta grazie a un post Facebook del novembre scorso diventato virale, in cui una cittadina di nome Leda Kosmachevska raccontava di aver sposato un suo amico gay che si era appena arruolato per salvaguardare le volontà di quest’ultimo nei confronti del proprio partner in caso di decesso.
Nel frattempo, il presidente Zelensky si è mostrato aperto nei confronti delle istanze della comunità Lgbt (puntualizzando però che, a differenza delle unioni civili, legalizzare matrimoni fra persone dello stesso sesso richiederebbe modifiche costituzionali impraticabili in uno stato di emergenza). A dicembre, inoltre, il parlamento ha adottato un provvedimento contro i discorsi d’odio che hanno come oggetto orientamento sessuale e identità di genere.
PURE L’ESTONIA ha di recente legalizzato i matrimoni omosessuali, creando un precedente per l’area e acuendo la distanza con la Russia, dove invece la repressione verso donne e persone Lgbt non fa che intensificarsi. «È difficile fare previsioni, ma di sicuro ora ci sono molte più possibilità che in passato di vedere garantiti i nostri diritti», conclude Antonina Romanova, che indossa sulla divisa militare lo stemma attorno a cui si riunisce informalmente la comunità Lgbt nell’esercito, raffigurante un unicorno sotto la scritta (in ucraino) “esercito Lgbt”. «Credo sia solo questione di tempo, anche se la pressione dei combattimenti rende difficile approvare leggi con rapidità. Purtroppo, per qualcuno sarà già troppo tardi».