La Repubblica - 19 luglio 2023
Migranti e possibilità negate
di Chiara Valerio
Uno degli avvisi letti la scorsa settimana su uno schermo luminoso della Napoli-Bari -vado a memoria - diceva: "Attenzione! L'uomo col giubbotto fosforescente in carreggiata è mio padre. Rallentate!". Improvvisamente cupa, mi sono fermata nel primo autogrill per ripetermi che, con molta probabilità, l'uomo con il giubbotto fosforescente del cartello luminoso è un operaio senza cittadinanza italiana il cui figlio esorta cittadini e cittadine italiane ad avere cura del padre, a rispettarlo, a non renderlo orfano.
Il bambino, o la bambina, lo chiede prima di tutto agli italiani e alle italiane, perché il messaggio, per quanto ho potuto vedere, non è in nessuna altra lingua.
Supponiamo che il bambino che chiede di rallentare per evitare incidenti dal cartello luminoso di Autostrade per l'Italia, sia in effetti il figlio di un operaio senza cittadinanza.
Cosa penserà leggendo la frase? Probabilmente di vivere in un Paese schizofrenico nel quale il rispetto e la cura sono fermi alla soglia della dichiarazione e dell'intenzione,
della pubblicità, seppure pubblicità progresso (non credo si dica più).
Nella quotidianità presente, il rispetto manca per la maggior parte del tempo, e nell'immaginazione futura non esiste - e non esiste da molto - una idea di cittadinanza che contempli lo ius soli, per esempio.
D'altronde, nelle notizie che scorrono, sempre su schermi luminosi, ma collocati altrove, gli immigrati, per l'attuale governo - e, in effetti, da prima - non sono occasione o opportunità ma impedimento alla ricerca e
all'ottenimento di un lavoro, contribuiscono al degrado urbano e delinquono dunque minano la serenità di una comunità. Sto esagerando, o almeno spero. D'altronde, il passaggio linguistico da "immigrato" a "migrante" segnala, ma lo dico a posteriori,dopo anni di inefficacia politica, una differente presa in carico istituzionale. Immigrato,
participio passato del verbo immigrare, può essere aggettivo o sostantivo e segnala uno stato, un trasferimento e dunque una presa in carico della persona da parte della
nazione raggiunta. Il rovescio della medaglia è che essendo uno stato, si rimaneva immigrati per sempre.
Il fratello di mio nonno, trasferito in Australia dopo la Seconda
Guerra Mondiale, era a Canberra, dove viveva, "l'immigrato" anche quando aveva ottenuto la cittadinanza. Migrante, participio presente del verbo migrare, ha natura grammaticale di processo e non di stato, qualcuno che si sposta dal Paese d’origine per cercare condizioni di vita migliori e dunque porta in sé, già linguisticamente, una maggiore possibilità di integrazione, rimasta però, ad oggi, inattuata.
Così, mentre sulle autostrade gira il messaggio luminoso "Attenzione! L'uomo col giubbotto fosforescente in carreggiata è mio padre. Rallentate!", Giorgia Meloni
firma per il nostro Paese, nel ruolo a cui la Repubblica l'ha chiamata, un accordo
con la Tunisia sulla gestione delle tratte migratorie e dunque dei migranti che quelle tratte percorrono e di questi nuovi accordi con un Paese non democratico, a oggi, non si conosce il contenuto.
Il primo romanzo di Simona Vinci aveva un titolo bello e veritiero, Dei bambini non si sa niente (Einaudi, 1997), e raccontava che sostanzialmente il mondo va avanti perché il mondo dei bambini e dei loro giochi deve rimanere oscuro al mondo degli adulti. Invece qui dei bambini purtroppo sappiamo tutto, sappiamo soprattutto che in mare muoiono, e così i loro genitori, e né di loro né di questa conoscenza
sappiamo cosa fare, perché ci manca l'immaginazione del futuro.