GOOGLE ED ISRAELE
“La nostra indagine sulle attività dirompenti è ora conclusa e abbiamo
preso provvedimenti”. Questo è il sunto delle affermazioni della multinazionale
Google.
Ci si aspetterebbe che esse preludano all’interruzione del contratto di
fornitura di servizi informatici che dal 2021 Google (e anche Amazon) hanno col
governo israeliano. Contratto che sta probabilmente aiutando quest’ultimo nello
sterminio della popolazione di Gaza, che ha già prodotto oltre 34.000 morti e
un milione di profughi e che il recente rapporto di Amnesty International
afferma sia caratterizzato da “crimini di guerra”.
Invece l’incipit riguarda l’ulteriore licenziamento di 28 dipendenti di Google
che contestavano le politiche dell’azienda. Con ciò, in Google USA, i
licenziamenti per motivi politici sono dalla scorsa settimana più di 50. Essi
sono stati comminati dopo l’arresto di nove lavoratori durante la Giornata
nazionale di azione del 16 aprile, caratterizzata dalle proteste negli uffici
di Google a New York City e a Sunnyvale, in California (come riferisce il
Washington Post).
“Alla fine siamo un posto di lavoro e le nostre politiche e aspettative sono
chiare: questo è un business e non un posto per agire in un modo che distrugga
i colleghi o li faccia sentire insicuri, per tentare di utilizzare l’azienda
come piattaforma personale, o per combattere su questioni dirompenti o di
dibattito politico” ha detto l’amministratore delegato di Google Sundar Pichai.
Google smentisce ciò che afferma l’Associazione “No Tech for Apartheid”, che
denuncia che il contratto di fornitura di alta tecnologia e di intelligenza
artificiale da 1,2 miliardi di dollari, firmato da Israele con Google e Amazon
nel 2021 e noto come Progetto Nimbus, non è utilizzato dal Ministero della
Difesa israeliano solamente per scopi civili, ma anche a supporto delle
operazioni militari contro il popolo palestinese. La denuncia dell’associazione
e degli attivisti licenziati ha come fonte articoli di alcune riviste, come
Time.
Le iniziative dei lavoratori di alcune grandi aziende tecnologiche, dove negli
ultimi mesi sono partite anche iniziative di sindacalizzazione (dal 2021
Alphabet Workers Union, detta anche Google Union, è un sindacato dei lavoratori
che conta 700 iscritti all’interno di Alphabet Inc., società madre di Google),
fanno parte del grande movimento per la pace e i diritti del popolo palestinese
che si sta sviluppando negli Stati Uniti, il principale sostenitore militare di
Israele.
Nei campus universitari, riannodandosi con le lotte contro la guerra nel
Vietnam, molti studenti alternano sit-in e accampamenti di lotta nonviolenta
contro la collaborazione delle università col governo israeliano e per il
disinvestimento da ogni forma di produzione militare. Queste manifestazioni
sono contrastate da arresti, interventi delle guardie di sicurezza dei campus,
cariche di polizia, espulsione di studenti e licenziamenti di docenti.
Tali ritorsioni, che contrastano col diritto di opinione, sono state auspicate
anche dal primo ministro israeliano Netanyahu, che, con un suo messaggio, ha
definito i partecipanti “branchi antisemiti”, fingendo di ignorare che una
parte consistente della comunità ebraica degli USA è in prima fila nelle
proteste contro l’attacco da Gaza.
In questo contesto, i licenziati di Google sono stati invitati a parlare alle
manifestazioni degli studenti in corso presso l’Università di Berkeley. La
politica di Biden di fornitura di armi allo storico alleato sta procurando
sempre più contestazioni e conseguenze sul suo già traballante consenso in
vista delle elezioni presidenziali di novembre.