L’ETICA DEL LAVORO OGGI
Di Calvino - Giovanni il
riformatore ginevrino - in Italia si sa molto poco e in genere, nell’immaginario
di chi sa collocarlo nel tempo e nella storia del cristianesimo, il suo
pensiero si riconduce ad un tema specifico: un’etica puritana severa e rigorosa
che si esprime, soprattutto nella dedizione del lavoro.
Molto di questa vulgata si deve
alla mediazione di Max Weber, autore del fortunato saggio - forse più citato
che letto – L’etica protestante e lo spirito del capitalismo.
Ormai 120 anni fa quel volume
diede forma sociologica al nesso tra un presupposto teologico - la grazia di
Dio - e le sue conseguenze sul piano economico e sociale a iniziare dall’operosità
di chi scopriva che la vita cristiana si poteva esprimere anche nella dimensione
intramondana del lavoro e delle relazioni economiche. Schematizzando dall’oratorio
al laboratorio.
Nonostante rivisitazioni e
qualche revisionismo, questa tesi ha retto a lungo, almeno nella lunga fase del
capitalismo produttivo, quello che, all’interno di sistemi di fabbrica,
generava merci e strutturava le classi sociali.
In quel contesto, l’etica
protestante si esprimeva in una particolare attitudine che, grazie a una forza
morale interiore, attraverso il lavoro riusciva a migliorare gli individui e ad
indurre un virtuoso processo di crescita economica dell’intera società.
Questa classica interpretazione
di per sé corretta, sottovaluta però un elemento: quella “forza morale” che
anima il calvinista operoso si esprime in un preciso concetto teologico la
vocazione…
brano tratto da un articolo di Paolo
Naso
(da “Riforma”, aprile 2024)